Cè unimmagine, credo, che è rimasta scolpita nella mente e nel cuore di tanti cinefili e di altrettanti amanti della Natura: è quella del film «Il cacciatore», quando il personaggio interpretato da Robert De Niro, un reduce dal Vietnam, insegue, incalza, rincorre, e finisce per trovare un maestoso esemplare di cervo. Allora lo punta, mira al «bersaglio grosso», sta per premere il grilletto: lanimale si volta, e pare fissarlo negli occhi, quel cacciatore che è appena scampato da ben altra «caccia» bestiale e cruenta. Il colpo non parte, per questa volta, almeno, hanno vinto entrambi, luomo e lanimale, e insieme a loro ha vinto la Natura. Ecco, gentile signor Conte, come si può intendere la caccia. Sono daccordo con lei, senza retorica: valgono di più gli appostamenti nel cascinotto, «imbacuccato e rannicchiato, con le dita che per il freddo non riuscivi neanche a tenerle sul grilletto», vale di più «trascorrere una stupenda giornata allaria aperta camminando tra prati e boschi». Ma è anche lecito, credo, inseguire, incalzare, rincorrere, braccare persino la preda, e poi decidere se è il caso di aprire il fuoco.
O se, invece, è il caso di aprire gli occhi e guardarsi intorno, e ricordarsi per un momento che Cro Magnon, Nearderthal e Similaun avevano fame e cacciavano usando clave e fatica, pietre e sudore, dardi e lacrime. Quelle che non usano più, nemmeno per la cinghialetta di Terrile che, sì, anchessa (anche «lei») ha guardato negli occhi il cacciatore. Ma ha soltanto visto partire lo sparo.Se il cacciatore sceglie di abbassare il fucile
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