Se i mazziniani intransigenti scelgono la politica invece della storia

Eppure, quella data, il 17 marzo 1861, avrebbe dovuto far piacere ai sacerdoti del culto di Giuseppe Mazzini. Quel giorno, infatti, il «profeta», accettando l’offerta di Carlo Cattaneo, firmò con il torinese Gino Daelli un contratto per l’edizione completa dei suoi scritti politici e letterari. Un avvenimento, certo, che però, quasi simbolicamente, veniva a coincidere con un altro fatto, storicamente più rilevante: la proclamazione del Regno d’Italia. Un fatto, quest’ultimo, al quale guardano con orrore malcelato gli intransigenti mazziniani di oggi: quelli, per intenderci, raccolti attorno a una Associazione Mazziniana Italiana, fondata nel 1943 ai tempi della lotta clandestina contro il fascismo, pregna di umori e nostalgie azioniste e affascinata da un Roberto Saviano che fa bella mostra di sé nel loro sito.
Costoro, appresa la notizia che il 17 marzo 2011 verrà celebrato ufficialmente, com’è giusto che sia, il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, con un giorno di festa nazionale hanno contestato l’iniziativa perché ricorderebbe una data troppo legata alla monarchia e hanno proposto, in alternativa, di ricordare il 18 febbraio 1861, giorno nel quale si inaugurò a Palazzo Carignano, la prima legislatura del nuovo regno.
La polemica, in realtà, non ha ragione di essere. Non ha senso contrapporre i «valori liberaldemocratici» del 18 febbraio a una presunta affermazione di continuità dinastica del 17 marzo, tanto più che quest’ultima comprendeva la recezione dello Statuto Albertino come carta costituzionale del nuovo Stato nazionale.
La verità è che il Risorgimento, fenomeno italiano del più generale moto europeo delle nazionalità, si sviluppò all’insegna del binomio «nazione e libertà» e riuscì a superare, in vista di un obiettivo comune, diversità programmatiche e divisioni ideologiche. L’immagine oleografica che metteva insieme i quattro «padri della patria» - Mazzini e Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele - esprime bene questa realtà.

Mazzini fu la forza del sogno, Garibaldi la forza della natura, Cavour la forza del ragionamento, Vittorio Emanuele la risultante di queste forze.
Ogni altro discorso è vana chiacchiera, al servizio della politica, non della storia. Di una politica faziosa e vecchia. Che non fa bene all’Italia e agli italiani.

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