Se l'ipocrisia nuoce più delle sigarette

Cosa c’è di più idiota che scri­vere sui pacchetti di sigarette "Il fumo uccide", "Nuoce grave­mente alla salute" e consentirne la vendita?

Se l'ipocrisia nuoce più delle sigarette

Cessi, non processi. Proce­dere vuol dire avanzare; cedere vuol dire fermar­si. Il pro-cesso è tale perché pro­cede; se non pro-cede è un ces­so. Il processo Mills è un cesso. Frequentato da magistrati fretto­losi di evacuare. Emettono - la metafora continua pertinente ­sentenze inconsistenti come pe­ti, ma puzzolenti.

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Nessuna canzoncina fascista (Bandiera nera o altro) potrà to­gliere al contestato console ita­liano di Osaka Mario Vattani il merito di avere, per i mortificati agricoltori siciliani, aperto il mercato giapponese alle arance rosse di Sicilia. Quindicimila tonnellate cancellate, con il mo­r­alismo dei Merlo e dei soggioga­ti responsabili della Farnesina, da 15 parole insignificanti canta­te in un circolo privato. Vergo­gnandosi di Vattani, Terzi si ver­gogna di se stesso. Il ministro de­gli Esteri deve giudicare i fatti, non le parole.

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Cosa c’è di più idiota che scri­vere sui pacchetti di sigarette «Il fumo uccide», «Nuoce grave­mente alla salute» e consentirne la vendita? Mi chiedo che cosa abbia frenato i titolari dei mar­chi, spesso bellissimi, di sigaret­te dal promuovere una causa (pensate alle Marlboro, alle Camel, alle Gauloises) per danni, letteralmente, all’immagine, contro le istituzioni che hanno deliberato questi inutili avvisi.

Il costume stesso, oltre che la logica, li contraddice. Tutti sanno che non si può fumare in luoghi pubblici. Tutti sanno che il fumo favorisce il cancro. Ma nessuno rinuncia a comprare le si­garette perché legge una scritta minac­ciosa. Essa è didascalica, vanesia, ipo­crita. Se il fumo è un veleno, bisogna semplicemente proibirne la vendita. Che senso ha avvertire qualcuno (per­fettamente consapevole) che sta ac­quistando una cosa pericolosa? Ma la difesa del buon senso,oltre che dell’in­tegrità dei marchi nel loro disegno al­terato, sfregiato, marchiato con le in­decenti targhette, per circa un terzo del campo visivo, appare anche più do­verosa se s’immagina che, per il futu­ro, un’associazione difanatici che pro­muova l’ateismo contro il potere illu­sorio delle religioni, ottenga da un par­lamento di laici imbecilli l’autorizza­zione a indicare tutti i rischi e le men­zogne delle religioni, in particolare di quella cattolica.

Potremo avere così cartelli di avver­timento stampigliati in modo vistoso sui dipinti di Giotto, Botticelli, Raffael­lo, con la scritta dissuasiva: «La religio­ne è l’oppio deipopoli»;«Quest’imma­gine è menzognera»; «Non credete al­la Vergine Madre»; «È ridicolo credere che Cristo sia risorto»; «L’assunta è un’invenzione».

Già immagino un bell’avviso euro­peo sotto la Crocefissione di Grü­newald a Colmar o sotto l’Assunta di Tiziano nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia: bene in vi­sta, mi raccomando, per evitare che qualcuno ci creda. Ma i cretini hanno bisogno anche di questo.

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Nello stesso giorno in cui Alfonso Pa­pa è stato espulso dall’Associazione nazionale magistrati, senza potersi di­fendere, Luigi De Magistris è rinviato a giudizio. Dopo aver tanto predicato la necessità di un passo indietro degli indagati soprattutto per i rinviati a giu­dizio, De Magistris naturalmente è ri­masto al suo posto. Per i garantisti niente di male, è innocente fino alla condanna definitiva. Ma perché allo­ra, Carlo Malinconico, neppure inda­gato, si è dovuto dimettere? Perché Au­gusto Minzolini, rinviato a giudizio, in un ruolo pubblico, non più impegnati­vo di sindaco di Napoli, si è dovuto di­mettere? La legge non lo prevede, ma il De Magistris magistrato lo chiedeva o se l’aspettava dai suoi indagati. Ades­so, diventato sindaco, non ci pensa più? È diventato garantista per sé? Co­me un De Luca qualsiasi? E, non diver­samente da Alfonso Papa, vittima di quello di cui l’accusano, De Magistris critica i colleghi che, nel suo caso, avrebbero sbagliato, e che egli, per di più, considera incompetenti. Pensan­do a lui e alle sue dichiarazioni, c’è qualcosa che non torna.

Infatti proprio con lo sputtanamen­to di uomini politici conosciuti e con il vittimismo per non aver potuto conti­nuare le sue indagini, De Magistris è diventato un simbolo e un modello d’intrepido e solitario giustiziere che viene ostacolato da oscuri poteri. E co­sì, anche oggi, tenterà di far interpreta­re questo rinvio a giudizio. A me pare invece chiarissima la fattispecie, che mi indicò per primo un celebre Gip di Milano, Italo Ghitti, a proposito di Di Pietro e del suo attivismo propagandi­stico: corruzione di immagine. Ovve­ro fare inchieste spettacolari, cercare inquisiti eccellenti e potenti, mettersi nei panni di Davide contro Golia, non per perseguire reati reali, ma immagi­nati, e diventare eroi di una battaglia disperata. Una volta ottenuto il con­senso, buttarsi in politica, con plauso universale, lamentandosi di non po­ter lavorare come magistrato.

Così fece Di Pietro, così ha fatto il suo seguace De Magistris. L’allievo ha superato il maestro. Poco importa che sia stato necessario, da parte del magi­strato che ormai è diventato un ricor­do, il «concorso» in abuso d’ufficio.

D’altra parte, per diventare magistra­ti, occorre comunque un «concorso»! L’abuso, per questi signori, è un titolo, da riscuotere in politica. Dalla quale, come ben vediamo, non ci si dimette. Lo si chiedeva e lo si imponeva agli al­tri, ma non ora che toccherebbe a loro.

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