
Il reperto non è più "solo" archeologico. Oggi anche la scienza interviene nella storia, prima, durante e dopo gli scavi; e così si possono ricostruire aspetti della vita materiale del passato in modo sempre più dettagliato. Tanto da poter scoprire, prove alimentari alla mano, perfino le abitudini culinarie di molti secoli fa, come raccontano l'antropologa fisica Valeria Amoretti e l'archeobotanica Chiara Comegna, che lavorano al Parco archeologico di Pompei (dove Amoretti dirige anche il Laboratorio di ricerche applicate). Domani a L'Aquila, al Festival delle città del Medioevo, le due scienziate terranno un incontro su "Cibo e scienza in archeologia" insieme all'archeozoologa Chiara Corbino.
Partiamo dalle basi. Che cos'è un reperto archeobotanico?
Chiara Comegna: "È l'elemento vegetale, che appartiene alla vita delle persone e che, riferito a un sito, diventa reperto. Ha sempre a che fare con aspetti materiali come l'alimentazione, semi o frutta per esempio, o le costruzioni, come legni, travi, finestre, mobili e ci racconta del rapporto fra l'uomo e gli elementi vegetali del suo tempo".
E si conserva?
CC: "Ecco, per il Medioevo sono le fonti iconografiche e letterarie ad aiutarci a capire il dato, ma è rarissimo trovare reperti archeobotanici, che attestino la diffusione di alimenti, l'introduzione di nuovi ingredienti, la costanza delle ricette. È diverso a Pompei, che è una città bloccata in un momento di vita attiva: ci sono la pentola sul fuoco, la fossa settica, il cibo scartato per strada...".
Valeria Amoretti: "Il Medioevo è invece una diacronia: si giudica in divenire. Magari troviamo dieci semi dell'anno Mille, dieci del 1100; qui a Pompei, mille del 79 d.C.. E poi il Medioevo riutilizza: materiali, strutture, chiese".
Avete scoperto continuità alimentari fra l'antichità e il Medioevo?
CC: "Innanzitutto le leguminose, come le fave. A Pompei e nel mondo romano erano molto usate nell'alimentazione, nei fertilizzanti e per insaporire certi vini. E la presenza delle fave è una costante anche nel Medioevo, tanto che esse crescono di dimensioni nei secoli, con l'aumentare del fabbisogno. La ricetta della zuppa di legumi è un filo rosso che va dal periodo preclassico alla tradizione toscana di oggi".
Qualche differenza?
CC: "Il castagno. In epoca romana era utilizzato soprattutto per il legno e si mangiavano anche le castagne; nel Medioevo si dà il via alla coltura intensiva per la produzione delle castagne, che poi diventano i più pregiati marroni, e delle farine per i pani. Sono i cosiddetti pan d'albero, chiamati anche torte, che troviamo ancora oggi in Basilicata, Puglia e Abruzzo, mentre i dolci con ripieno di castagne sono ovunque in Italia".
Il cibo è sempre un bene?
VA: "Insomma... Io mi occupo di resti umani e anche delle patologie che ci raccontano, come risultato del consumo, o del non consumo, di alcuni alimenti. Il Medioevo è epoca di carestie: ci sono malattie come scorbuto e anemia, che lasciano tracce a livello osseo. Ma esistono anche patologie da troppo cibo, come quelle legate a un consumo eccessivo di carne di capra o di latte non pastorizzato, che portava spesso alla brucellosi, o febbre maltese".
E si vede dalle ossa?
VA: "Dalle ossa e dai denti. Per esempio, la brucellosi lascia un segno preciso sulle vertebre. Il nostro corpo è meraviglioso: riflette quello che mangiamo, anche dopo secoli. E l'antropologia fisica si occupa proprio della parte scheletrica dell'essere umano: è a metà fra archeologia e biologia e ciò che resta dell'essere umano, nel 99 per cento dei casi, sono ossa".
Oppure?
VA: "Oppure ci sono Pompei con i suoi calchi delle vittime del Vesuvio, o le mummie dell'Antico Egitto. Ho scelto di fare l'antropologa fisica proprio per essere più vicina all'essere umano, ai nostri antenati, studiando i loro resti: questo significa, per me, la materialità della storia".
Una narrazione diversa della storia?
CC: "I nostri reperti non sono statue o affreschi..."
VA: "La nostra è una battaglia per convincere il mondo dell'archeologia che i nostri piccoli reperti sono importanti: il loro valore di conoscenza è immenso, a volte perfino superiore a quello di una statua".
Per esempio?
CC: "Se penso a Pompei, le anfore sono qualcosa di sistematico: ci sono le tipologie per distinguerle e abbiamo detto tutto. Invece, se pensiamo a un fico o a una fava, non solo possiamo ricostruirne gli aspetti biologici, in quanto fico o fava, ma essi ci dicono anche come sono cresciuti, se sono state coltivati, come e da chi e perché, e che cosa ne è stato fatto... Ci raccontano la storia di una interazione e di una necessità".
Dove trovate questi reperti?
CC: "Carbonizzati, nei focolari. Oppure, come in questi giorni, nelle fosse settiche, in quello che è stato digerito: i vinaccioli, per esempio, piccoli semini che ci raccontano da dove vengono - dal vino o dall'uva - se sono stati coltivati e come, se sono selvatici, se sono stati mangiati per caso oppure no... È la storia della quotidianità".
VA: "Durante gli scavi della Regio V, in una taverna abbiamo trovato un essere umano che lì aveva un letto, un piccolo cane, del cibo e poi, analizzando i contenitori, resti di vino rosso con pece, che era usata per impermeabilizzare i contenitori stessi. Facciamo l'archeologia delle piccole cose, ma non significa che il risultato sia piccolo: ci apre il mondo della vita. Le nostre discipline funzionano insieme e ci restituiscono la vita degli antichi".
Altri reperti particolari?
CC: "In un sito in Epiro, in Grecia, abbiamo analizzato dei pollini trovati in una torre del Basso Medioevo e abbiamo ricostruito il paesaggio dell'area: era occupata dai pastori della transumanza e i pollini ci hanno raccontato le specie di erbe aromatiche che questi pastori davano alle capre in funzione antinfiammatoria e per fare cagliare prima il latte. Sono le stesse che si usano oggi, sintetizzate: timo, salvia, rosmarino e menta".
Quanto cambiano le diete nei secoli?
VA: "Roma è un grande impero e i rifornimenti di cibo, soprattutto grano, provengono dal sistema centrale. Quando questo collassa vediamo emergere differenze a livello locale, legate alle contingenze e alla geografia".
CC: "Però ci sono dei fili rossi, come la zuppa. E, nel Medioevo, un fattore cruciale è la Chiesa, che controlla anche orti, pascoli e colture di olivo e castagno, perché la produzione di olio dà potere: è il crisma, l'illuminazione, la risorsa alimentare".
Su che cosa state lavorando ora?
VA: "Sul valore nutrizionale dei cibi e la loro provenienza: per esempio, le rotte e i commerci dei datteri. Qui a Pompei abbiamo molti reperti archeobotanici, rimasti carbonizzati: abbiamo l'opportunità di ricostruire l'intera alimentazione di una città".
La dieta dei
pompeiani?VA: "Non solo. Pompei è privilegiata e spesso funziona da calibratore per altre scoperte: grazie a questi reperti possiamo creare una nuova metodologia e nuove tecniche, per offrire strumenti a tutta l'archeologia".