Siamo agli inizi della prima amministrazione Obama, in una cittadina della provincia degli Stati Uniti, East Glandness, Gioia dell'Est, un nome che è tutto un programma. In realtà, di sorrisi e felicità se ne incontrano pochissimi sulle strade anonime di un'America grigia, non certo da cartolina. È l'America descritta con lucidità ne L'imperatore della gioia (Guanda, traduzione di Norman Gobetti, pagg 432, euro 20), l'ultimo romanzo di Ocean Vuong, nato in Vietnam nel 1980 e trasferitosi a vivere negli USA nel 1990.
Hai è, come l'autore, un giovane di origini vietnamite che ha perso la bussola e non vede il minimo futuro davanti a sé. Ha raccontato una panzana assurda a una madre propensa a prendere sempre le sue parole per vere, pur di non doversi abbandonare a riflessioni dolorose; è stato ammesso a un prestigioso ateneo. In realtà, ha deciso di farla finita. E, quando sta per gettarsi nelle acque turbolente di un torrente di provincia, desiste perché sorpreso da Grazina, una vecchia eccentrica proveniente dall'Ucraina che, a sua volta, custodisce qualche segreto e nasconde svariati traumi. Grazina soffre di una forma di demenza e trova in quel giovane un'anima disposta a dare ascolto ai suoi turbamenti. Hai, che si trasferisce a casa sua e finisce per diventare il suo badante-confessore, a sua volta scopre in quella vecchia un punto di riferimento sorprendente, accompagnandola nei deliri in cui la donna rivive momenti drammatici del suo passato, stavolta con un accompagnatore di fiducia.
È una realtà come ce ne sono tante negli odierni USA.
Senza avventurarsi in pericolose scorribande moralistiche, Vuong ci restituisce un'America vera, in un momento critico che ancora non vede una fine, un'America che si interroga sui propri limiti senza eccessiva convinzione