Senza stampella il settennato parte zoppo

Soltanto Segni e Leone avevano ottenuto meno suffragi: ora il nuovo inquilino del Colle dovrà ricucire lo strappo tra i Poli

Mario Sechi

da Roma

L’ascesa al Colle di Giorgio Napolitano si compie nel peggiore dei modi: quattro scrutini, 543 voti pari al 53,81 per cento dei voti su un collegio di 1009 grandi elettori. Dopo quella di Segni (1962) e Leone (1971) è l’elezione con il numero più basso di voti e un tasso di conflittualità enorme nonostante si sia realizzata al quarto scrutinio e non al nono (Segni) o al ventunesimo (Leone). Dietro questi numeri si celano conseguenze politiche decisive per il futuro del settennato di Napolitano, per il rapporto maggioranza-governo e il dialogo maggioranza-opposizione. L’Unione, a dispetto del nome, ha portato alle estreme conseguenze una strappo istituzionale che il neo presidente della Repubblica sarà costretto a ricucire. Non è detto però che vi riesca. Perché se sul nome di Napolitano ben pochi avevano da obiettare, il metodo scelto dal centrosinistra nel proporre il candidato al Quirinale ha eretto un muro nel sistema politico.
La scelta del Presidente della Repubblica non è mai stata semplice, né priva di asprezze, colpi bassi e colpi di scena. Ma quello che è successo ieri a Montecitorio è un inedito nella storia della massima magistratura dello Stato: un candidato di parte, proposto da una parte, eletto da una parte. Il sistema di voto studiato dai Costituenti si muoveva secondo lo schema della legge elettorale proporzionale e un quadro politico frammentato. Il presidente della Repubblica veniva eletto con un consenso più ampio rispetto alla maggioranza di governo, il vecchio Pci prima e il Pds poi, avevano infatti concorso ben sei volte su nove alla scelta del Presidente. Un’esperienza di cui i Ds e Romano Prodi non hanno voluto far tesoro, arrivando a proporre sempre un solo candidato (D’Alema in prima battuta, Napolitano in seconda) e non una rosa di nomi o un nome condiviso da entrambi i poli. La trasformazione bipolare del sistema politico ha messo a nudo i limiti del meccanismo d’elezione che la scelta bipartisan di Ciampi nel 1999 aveva solo rimandato. Il centrosinistra infatti ha portato alle estreme conseguenze la sua strategia politica e ha fatto entrare la Presidenza della Repubblica nell’orbita della logica maggioritaria.
Romano Prodi ha sperato fino all’ultimo che l’Udc facesse da «stampella» all’elezione di Napolitano.

Il partito centrista nello schema dell’Unione avrebbe dovuto svolgere il ruolo che ebbero in passato i monarchici e i missini nelle elezioni di Einaudi (1948), Segni (1962) e Leone (1971), stavolta il gioco del soccorso esterno non è riuscito proprio perché nel sistema bipolare chi fa parte di un’alleanza non può scegliere una via diversa da quella della coalizione senza correre il rischio di romperla. L’Unione ha fatto male i conti e il risultato politico è che senza alcuna stampella, la presidenza di Giorgio Napolitano zoppica.

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