Serra spara sul Policlinico: «Caos e rischio di illeciti»

L’Alto commissario contro la corruzione denuncia i mancati controlli e la totale disorganizzazione della struttura

Serra spara sul Policlinico: «Caos e rischio di illeciti»

Ci mancava solo l’affondo di Achille Serra a migliorare la «fama» del Policlinico Umberto I. Dove si scopre che persino sui nomi dei chirurghi al lavoro in sala operatoria non ci sono certezze.
Così a due giorni da Halloween, il nosocomio romano sembra più un regno del caos e dell’orrore sanitario che un ospedale. Dopo le inchieste-choc dell’«Espresso» e le polemiche sulla lentezza dell’avvio dei lavori di ristrutturazione, il colpo di grazia arriva con la denuncia delle gravissime irregolarità riscontrate dall’Alto commissariato per la lotta alla corruzione, presieduto dall’ex prefetto di Roma. Perché il quadro che emerge dagli accertamenti svolti a campione su cinque dipartimenti sui 208 del policlinico mette i brividi. Interventi chirurgici svolti da medici diversi rispetto a quelli indicati nei referti. Liste d’attesa compilate su quaderni e fogli di fortuna. Degenti da dimettere mantenuti in corsia occupando preziosi posti letto. Insomma, per dirla con Serra, il campione esaminato basta a dare l’idea di una «grandissima disorganizzazione» e di una «mancanza di controlli» che «può portare alla corruzione e agli illeciti». E anche se l’ex prefetto sottolinea la collaborazione del direttore generale Ubaldo Montaguti (a cui ieri è stata spedita una lettera anonima di minaccia con alcuni proiettili), l’analisi del commissario anticorruzione non è lusinghiero verso il management ospedaliero. Nei cinque dipartimenti, sospira Serra, «abbiamo rilevato una mancata vigilanza e l’assoluta inconsistenza dei controlli». E giù con l’elenco delle anomalie. Si comincia, a chirurgia e ginecologia, con l’assenza dei regolari registri per le liste d’attesa dei pazienti, sostituiti da «pezzi di quaderni senza alcuna indicazione». Poi ci sono i reparti con primari che, spiega Serra, «non sono specialisti in quella particolare disciplina». Ma c’è di peggio. Gente che finisce sotto i ferri senza sapere chi lo sta operando. Una cosa «sconvolgente», sottolinea senza annacquare il concetto il commissario Serra, una evidenza provata da medici e paramedici che, nelle audizioni, hanno candidamente confermato come capiti «talvolta» che in sala operatoria invece del chirurgo «ufficiale» metta mano al bisturi un «medico esterno» al policlinico, il cui nome però viene poi omesso dai rapporti dell’ospedale, dove risulta che a operare è stato il medico «regolare» dell’Umberto I. Un dettaglio da codice penale, tanto che Serra, di fronte a quanto emerso, non ha potuto che «riferire all’autorità giudiziaria». Sarà la procura di Roma a occuparsi della vicenda, individuando eventuali, quanto probabili, ipotesi di reato. Non basta. Suona beffardo, alla luce della cronica carenza di posti letto nelle strutture ospedaliere, il dato sulla durata media delle degenze. Rispetto agli standard previsti, emerge un surplus di 11.500 giorni su base annua. In altre parole, e in altre cifre, è come se ci fossero 32 posti letto «occupati inutilmente ogni giorno», insiste Serra.
Ma del cattivo stato di salute del grande ospedale capitolino, Serra ha informato anche il presidente della Regione, Piero Marrazzo, e i titolari dei ministeri competenti: Livia Turco per la Salute e Fabio Mussi per l’Università e la ricerca. Immediata la reazione della Turco, raggiunta dalle cattive nuove proprio mentre visitava alcune strutture sanitarie a Roma: «Basta con questa vicenda dell’Umberto I - ha commentato il ministro - servono interventi più drastici e coerenti, non è possibile che quanto di buono c’è nella sanità del Lazio venga oscurato, periodicamente, dalle vicende di questo ospedale».
Quanto alle responsabilità della paralisi, Serra le spalma sui troppi soggetti a cui l’Umberto I fa capo: la doppia competenza di Università e Regione «crea disorganizzazione con scarico di responsabilità».

L’ex prefetto di Roma punta il dito su «un fatto molto grave»: la mancanza di un «atto aziendale», il documento che definisce linee guida e organizzazione della struttura. La proposta c’è, prevede il taglio di 55 dipartimenti. Ma «l’approvazione - conclude Serra - spetta alla Regione».

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