Cultura e Spettacoli

Shakespeare incontra Tarantino

Al Teatro Romano di Verona un «Romeo e Giulietta» più snello e vicino all’attualità con la regia di Gabriele Vacis

Carlo Faricciotti

Sarà un moderno e disinvolto Romeo e Giulietta quello prodotto dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino per la regia di Gabriele Vacis che inaugura giovedì, al Teatro Romano, il 57esimo Festival shakespeariano. Vacis ha voluto usare una nuova traduzione, quella disinvolta e moderna (e scritta apposta per l'occasione) del regista e sceneggiatore cinematografico Marco Ponti (A+R Andata e Ritorno, Santa Maradona) che, uscendo dai canoni dell’inno all'amore, sottolinea aspetti come il malessere adolescenziale, il disagio giovanile e il conflitto generazionale.
Vacis sostiene che questo suo allestimento ha una valenza assolutamente contemporanea, intendendo per «contemporaneo» ciò che è di sempre, a differenza dell’«attuale» che è solo di questo tempo. «Il mio Romeo e Giulietta - spiega - vuole essere un omaggio alla grandezza del Bardo, che ha saputo scrivere opere leggibili in assoluta sospensione dal tempo, vere cioè ieri come oggi, come domani. La traduzione mi ha molto aiutato in questo: usa infatti un linguaggio disinvolto nei dialoghi. Giulietta dice “Che palle!” proprio come mia figlia che ha diciotto anni. Assolutamente non è invece gergale quando dice “Romeo, perché sei tu Romeo?”. Non gergale, ma parlando semplicemente come si parla oggi, lontani dall'opulenza linguistica del teatro elisabettiano. Lo stesso concetto ha motivato l'ambientazione scenica e i costumi: le armi sono, ad esempio, molto elaborate come in certi film di Tarantino e ci sono anche, perché no, le pistole. Anche qui ho cercato un equilibrio, lontano da precise indicazione spazio-temporali».
Due ore di spettacolo, «forse anche meno» promette il regista, a conferma di un’estrema agilità: «Shakespeare va tagliato, anche perché alcuni concetti sono volutamente ripetuti, nel corso dell'opera e questo per precise necessità imposte dal teatro di allora». La scelta dei due protagonisti - Yurij Ferrini e Sarah Biacchi - e di attori quasi tutti presi dal Progetto Urt (Unità di Ricerca Teatrale) di cui Ferrini è uno dei fondatori, è particolarmente significativa: «Gli attori sono tutti più o meno tra i trenta e i quarant’anni, hanno tutti la stessa fisicità, come spesso accade tra genitori e figli. Oggi c'è una certa confusione di ruoli che ho tradotto in scena.

E c'è una generale omologazione: tutti sembrano avere la stessa età, quella di un’adolescenza cui ci si abbarbica con ignara passione, per paura di crescere e per timore di invecchiare».

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