Bambini sospesi su una fune in bilico nel cielo plumbeo, aquiloni persi nel vento, robot umanizzati e tank giocattolo. Niente sangue, niente campi di concentramento, ma un dolore metafisico che aleggia come in un sogno. Così appaiono «I bambini nella guerra e nella Shoah» della pittrice Marta Czok, nella mostra ospitata, dal 25 al 28 gennaio a Palazzo Ferrajoli, e annunciata nel corso di una presentazione alla stampa dallassessore capitolino alla Cultura, Umberto Croppi, dal presidente Commissione cultura Federico Mollicone, dal critico darte Cesare Terracina, da Enrico Modigliani del Progetto Memoria e dallartista stessa. Un percorso di sedici quadri di medio e grande formato in cui Marta Czok cerca di raccontare i fatti senza essere esplicita, con unestetica che insegue un simbolismo filtrato da una memoria personale sottintesa. Come avverte la pittrice di origini polacche: «Mi ci sono voluti anni per affrontare il tema dei bambini dellOlocausto. Ho dovuto raggiungere un distacco emotivo per evitare il melodramma e la retorica. Ho voluto evitare lacrime, orrore e sangue. Nella memoria della gloria dei bambini, il dolore è sottinteso».
Nelle opere di Marta Czok appare evidente una celebrazione del linguaggio figurativo allinsegna di unastuta capacità allegorica. Lo spettatore non viene aggredito ma invitato a riflettere e a «svegliarsi».
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