Quando un prete è in confessionale, tra un penitente e l’altro, resta in attesa silenziosa. È un tempo opportuno per pregare, leggere, meditare sul Mistero di Dio e riflettere sui misteri della vita, per preparare prediche o attività, per riordinare messaggi e recuperare mail, ma diventa anche occasione per guardarsi intorno. Da lì si vedono le magagne dei muri della Chiesa da sistemare, ma soprattutto si osservano le persone che passano.
Mi è capitato da questo punto di vista molto particolare, di poter assistere a una scena che mi ha molto toccato. Una maestra del primo anno della primaria (una volta si diceva prima elementare), come lezione di religione, in occasione dell’avvicinarsi della festa di tutti i Santi e della commemorazione dei defunti, ha portato i bambini in chiesa per spiegare cosa fosse il paradiso. Gli occhi dei bambini rimbalzavano da un dettaglio all’altro con grande meraviglia. Per diversi era uno spazio sconosciuto. Non è più così scontato che a 6 anni un ragazzino sia entrato in chiesa qualche volta dopo esservi stato portato per il battesimo appena nato. Quindi ci sarebbe poi da considerare la percentuale crescente dei ragazzi non battezzati perché di altra religione o per scelta laica dei genitori. L’insegnante ha chiesto: «Chi sono i Santi?». Una bimba ha risposto: «Quelli che fanno passare la luce!». Definizione fantastica! Il pensiero mi è rimasto nel cuore e guardando anche io con loro l’edificio sacro, ho riflettuto quanto sia vero che le persone sono proprio come le vetrate delle chiese: rivelano la loro bellezza quando intorno c’è buio, ma solo se hanno una luce all’interno. Tutti ci troviamo a lottare dentro il nero e con il nero dentro.
Siamo debilitati dal buio fatto da dolore, paura, angoscia, frustrazioni, ferite, fallimenti. Ancor più l’oscurità della morte ci fa sentire persi. Però è meglio accendere una luce - anche se fioca o incerta - che stare a maledire l’oscurità. Abbiamo bisogno di riscoprire come ci si accende il cuore. Tutto deve essere acceso per andare avanti: accendi la luce, la macchina, la musica, la televisione, l’aspirapolvere, la sigaretta, accendi il caminetto, il fornello, il riscaldamento... e noi? noi, quando ci accendiamo? noi, come ci accendiamo? Ce lo suggeriscono i nostri morti. Mi immagino sulle loro labbra queste parole di Edmund Lee: «Circòndati di sognatori e realizzatori: di persone che credono e di persone che pensano; ma soprattutto circòndati di coloro che vedono la tua grandezza anche quando tu stesso non riesci a vederla». Ripensiamo alle tante persone che abbiamo incontrato come luce sul nostro cammino, che sono stati capaci di vedere la nostra grandezza anche quando noi non la vedevamo. I nostri morti sono splendenti dentro di noi e ci illuminano. Proprio perché sono nel buio nero della morte, come vetrate colorate rivelano la loro bellezza grazie alla luce che custodiscono dentro di loro. I nostri cari defunti ci dicono chiaramente: per avere di più di quello che hai, devi diventare di più di quello che sei. Se non cambi quello che sei, se non accendi il tuo cuore, il tuo sguardo, i tuoi pensieri, starai sempre e solo a pensare a ciò che non hai, rimanendo a brontolare contro il buio e andando a sbattere qua e là. Il mio vecchio parroco diceva che secondo lui in paradiso ci stupiremo di tre cose: di esserci noi, di incontrare chi non ci saremmo mai aspettati e di non vederci chi eravamo sicuri di trovarci. Ci troveremo coloro che hanno accolto la chiamata alla pienezza della vita, che hanno curato la loro luce interiore: sognatori e realizzatori, persone che credono e persone che pensano; che proprio per questo vedono la tua grandezza anche quando tu stesso non riesci a vederla perché prigioniero di tante ombre.
La società si oscura senza padri (beato chi non ha regole), senza madri (beato chi si è fatto da solo), senza fratelli (beato chi non deve rendere conto a nessuno). Ma così, senza padri (valori), senza di madri (tenerezza), senza fratelli (condivisione) gli altri ci appaiono avversari e ci troviamo scuri in volto, tenebrosi, vedendo sempre tutto nero, tutto sporco, tutto cupo. Guardare la preziosità della vita dei nostri morti «nell’aldilà» ci fa prendere sul serio «l’al di qua».
C’è un detto orientale che dice: «Quando si nasce tu sei l’unico che piange mentre tutti intorno a te sorridono. Quando si muore, se hai vissuto pienamente la tua vita, tu sei l’unico che sorride e tutti intorno a te piangono». E sorride solo chi ha imparato a far passare la luce.