La nostra fragilità è un valore aggiunto che ci rende unici. Il peccato è non capirlo

Rendiamoci conto oggi della responsabilità delle nostre crepe: abbiamo mai guardato i fiori che sono spuntati sul bordo delle strade che percorriamo con fatica ogni giorno

La nostra fragilità è un valore aggiunto che ci rende unici. Il peccato è non capirlo

Domenica scorsa un amico lettore, che ringrazio, mi ha mandato un messaggio con cui commentava così il mio articolo: «Mi ha fatto riflettere quel confessionale! Mi attira sempre di più! (Annotazione personale: non ho capito se lo attira di più il confessionale sul giornale o il confessionale in chiesa perché la prospettiva è molto diversa, comunque mi rende felice). Anche perché - continuava - ultimamente non so più se sto facendo una vita peccaminosa o se nella quotidianità il peccato è la vita». Un dubbio amletico interessante: essere o non essere peccatore? Questo è il problema!. Una versione perlomeno innovativa. Mi è venuto in mente un racconto.

Un portatore d'acqua aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso alle estremità di un palo portato sulle spalle. Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l'altro vaso era perfetto. Alla fine della lunga camminata dal ruscello verso casa, il vaso integro arrivava colmo di tutta l'acqua raccolta, mentre quello crepato ne conteneva ormai più poca. Andò avanti così per anni. Il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati; viceversa il vaso crepato si vergognava del proprio difetto. Un giorno decise di parlare al portatore d'acqua dicendogli: «Mi vergogno di me stesso e voglio scusarmi con te. Sono stato in grado di fornire meno della metà del mio carico, perché a causa di questa mia crepa tutta l'acqua se ne esce durante la strada fino a casa tua. A causa dei miei difetti, non ottieni pieno valore dai tuoi sforzi». Il portatore d'acqua disse allora al vaso: «Tu hai notato che ci sono fiori solo dalla

tua parte del sentiero? Ho sempre saputo del tuo difetto e così ho piantato semi lungo il sentiero dal tuo lato così, ogni giorno, mentre tornavamo, tu li annaffiavi. Per anni ho potuto raccogliere quei fiori e, senza il tuo essere semplicemente come sei, senza la tua crepa, non ci sarebbero state quelle bellezze a impreziosire la mia casa». Ognuno di noi ha le sue crepe e le sue fragilità. Ognuno di noi ha dei propri difetti unici. La fragilità è la materia di cui siamo fatti. «Fragilità» viene dal latino frango, che significa rotto. Siamo fragili come un vetro di Murano o un cristallo di Boemia: ognuno è unico, colorato in forme originali e piene di fascino. Siamo preziosi proprio perché non siamo infrangibili, come la plastica. Una persona che si sa fragile non è mai debole, semmai è saggia. L'amore è scambio di fragilità. Rendiamoci conto oggi della responsabilità delle nostre crepe: abbiamo mai guardato i fiori che sono spuntati sul bordo delle strade che percorriamo con fatica ogni giorno. Il vero peccato è non accettare di essere fragili. Assumersi il rischio di riconoscere la propria vulnerabilità vuol dire darsi il diritto di essere se stessi, di essere peccatori.

L'arte di essere fragili: come Leopardi può salvarti la vita è un libro di Alessandro D'Avenia. È dedicato «a tutti gli uomini e le donne che difendono le cose fragili, perché sanno che sono le più preziose». Leopardi è spesso liquidato come uomo pessimista e sfortunato, solitario e infelice, chiuso al buio della biblioteca di Recanati, concentrato

sulle «sudate carte», in compagnia della sua gobba. Invece era un predatore di infinito dentro la sua fragilissima esistenza (nei quasi 39 anni di vita), era un cacciatore di bellezza dentro una storia impastata di imperfezioni. Avrebbe avuto tutti gli alibi per subire la vita o per far morire qualsiasi passione dissanguato dalla fragilità. Questa ricerca di densità contro la rassegnazione mediocre è l'infinito che si apre al di là della siepe dei nostri labirinti, è il profumo della ginestra che riempie la desolazione del deserto, è il passero solitario che non smette di cantare, è la sera del dì di festa in cui «rimembri ancora» le tue radici, è la quiete dopo la tempesta, è il sabato del villaggio che ti fa attendere qualcosa di nuovo. Scriverà Leopardi: «Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo. (...) Curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici e che quasi sempre invece le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore. (...) I fanciulli sanno trovare il tutto anche nel niente, gli uomini invece trovano sempre il niente nel tutto. (...) Felicità non è altro che contentezza del proprio essere».

Quindi vita peccaminosa o il peccato è la vita? Vita peccaminosa è quando per non accettare la propria fragilità si distrugge quella degli altri. Se invece la fragilità si accoglie sorridendo e affidandosi, il naufragar è dolce in questo mare.

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