C’è un ragazzo con una bandiera alzata sopra la testa. È bianca, pulita, e al centro c’è un cappello di paglia disegnato come in un manga. Potrebbe essere a Teheran, a Parigi o a Hong Kong. Potrebbe gridare libertà o semplicemente cantare una canzone che nessuno capisce. Potrebbe non sapere neppure chi sia Marx o cosa sia la rivoluzione, ma sa che quel simbolo racconta qualcosa di lui. È la «straw hat flag», la bandiera nata dal mondo di One Piece , diventata il segno planetario della generazione Z, quella che si ribella senza sapere esattamente per cosa o contro cosa. La rivolta è un sentimento, un controdestino, un no a prescindere e sicuramente qualcosa di più di un malumore. La cosa anomala è che i fuochi si accendono in quelle che vengono considerate periferie del sistema globale e non sono accesi dagli intellettuali occidentali in eterna rivolta contro l’occidente. I «maestri del pensiero » inseguono, affannati e piuttosto sbalorditi, le piazze di questi poco più che quindicenni, e i più vecchi non superano il quarto di secolo, che non vogliono rinnegare l’ultima, nuova, modernità, ma chiedono che possa coinvolgere anche loro. I tentativi di metterci sopra cappelli apocalittici, pauperistici o semplicemente «comunisti» finiscono così per fallire, perché è una fame concreta che non si veste di utopia. Ora però stanno facendo i primi conti con la disillusione.
La vittoria più bella è già finita. In Madagascar la miccia è stata l’acqua che manca, la luce che salta, la povertà che non molla, ma dietro il disagio c’era altro: il crollo di un patto sociale, di un futuro negato. Il presidente Andry Rajoelina è fuggito su un aereo francese, lasciando un Paese sospeso tra miseria e orgoglio, tra illusioni di libertà e nuovi generali al potere. Anche qui, come nel Mali o nel Niger, il colpo di Stato si veste da transizione ma profuma di vecchia autorità. La Francia fa finta di capire, l’Africa smette
di aspettare. Restano i giovani, senza capi e senza fede, che gridano nei vicoli di Antananarivo come pirati di un sogno interrotto: volevano cambiare il mondo, hanno solo cambiato chi comanda. Alla fine sono arrivati i militari, che non hanno fatto, dicono, un colpo di Stato, ma dato concretezza alle richieste della piazza. Il presidente è il colonnello Michael Randrianirina, militare rigoroso e al suo fianco, nel ruolo di primo ministro, c’è Herintsalama Rajaonarivelo, economista e manager di lungo corso, collaboratore della Banca Mondiale. Per i ragazzi non è esattamente uno fuori dal coro. Tutto però resta, non si sa quanto a lungo, provvisorio, in attesa della democrazia, che qui è sempre un miraggio.
Qualcosa però si muove, in modo vorticoso e segna strade e piazze del mondo. In Nepal c’è l’assalto ai palazzi del Partito comunista, il primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli si dimette e il testimone passa nelle mani di Sushila Karki, giurista nota per la sua lotta alla corruzione. In Indonesia ci si batte contro la casta, in Mongolia cadono due presidenti, in Marocco è fuoco e fiamma contro la Coppa d’Africa: più ospedali e meno stadi e in Perù si vomita rabbia contro la riforma previdenziale che lascia i privilegi ai vecchi e li toglie ai giovani, proteste tardive contro la fine della fiesta .
Ovunque ci si parla in piattaforme come Discord e Instagram. È già successo in lontani passati nei caffè o nelle birrerie. È una rivoluzione senza ideologia, senza partiti, senza padri, senza profeti. È la rivolta del sentimento contro la stanchezza del mondo. La bandiera con il cappello di paglia è il contrario di tutte le icone novecentesche: nessuna falce, nessun pugno, nessun volto di Che Guevara. È anche un grido contro l’ingiustizia, un gesto di resistenza contro le censure, le guerre, il controllo, la noia. Monkey D. Luffy è un pirata che cerca un tesoro chiamato «One Piece», qualcosa che nessuno ha mai visto. Il tesoro,
come accade nelle parabole antiche, non è un oggetto, è la ricerca stessa. È l’avventura, la libertà, l’amicizia, la capacità di non arrendersi. Nelle piazze del mondo, quel cappello diventa la promessa di una libertà che non ha dogmi, solo desiderio. È la bandiera dei nuovi pirati del mare digitale, ragazzi che non hanno un leader ma un algoritmo, non un nemico preciso ma un’inquietudine che pulsa. A sinistra stanno cercando di imporgli una filosofia: non è una «rivoluzione» generazionale, questa è lotta di classe. A destra i più miopi hanno liquidato tutto questo come caos e disordine, i più romantici riconoscono quel profumo di anarchia che sta da sempre nel cuore della destra libertaria, con la speranza che Monkey D. Luffy sia il figlio un po’ sfigato di Capitan Harlock.
È accaduto quello che il pirata degli anni ’80 aveva visto nelle pieghe del tempo. Non ci sono più confini e neppure ricordi, ogni luogo si ripete senza alcuna differenza, prototipo dopo prototipo, e intorno è deserto. Quella che chiamano globalizzazione è arrivata al suo limite estremo e le risorse, dopo decenni di sfruttamento, sono ormai esaurite. La Terra è sotto il controllo di un governo centralizzato, dove i «migliori » non sono affatto illuminati. È una oligarchia miope e meschina, che giustifica il suo potere riproducendo norme su norme che puntano a regolamentare ogni aspetto della vita quotidiana.
Non credono a nulla se non all’ossessione del potere per il potere, sostenuto dalla ricerca di un consenso ridanciano, così perbenista da risultare volgare. A votare va solo chi ha qualcosa da guadagnarci, una minoranza di clientes