Sollima scava nel buio dei mille volti del "Mostro"

La serie sul serial killer di Firenze dà spazio alle varie piste di decenni di indagini. E mostra un'Italia oscura

Sollima scava nel buio dei mille volti del "Mostro"
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nostro inviato a Venezia

Il rischio delle serie italiane è che siano poco comprensibili all'estero. Accadde l'anno scorso con M, la fiction su Mussolini, lanciata in pompa magna salvo non essere (per ora) rinnovata ufficialmente senza motivo, ufficiosamente per carenza di streaming. Auguriamo migliore sorte a Il mostro di Stefano Sollima, regista abilissimo nel noir e nel thriller, già autore di Acab e dell'hollywoodiano Soldado. Ieri, al Lido, sono state proiettate quattro puntate, l'intera prima serie, con visione sulla seconda. Il Mostro di Firenze è il serial killer che tra il 1968 e il 1985 ha terrorizzato l'Italia e non solo. Il Mostro massacrò otto coppie nelle campagne fiorentine mentre erano appartate in automobile. Per il pubblico italiano, un prodotto riuscito, livido nelle riprese, angosciante negli sviluppi, interessante nel tema e nel modo in cui è sviluppato. Sollima, più che sui detective, mette la camera sul mondo di guardoni, pastori, maniaci che entrano ed escono dall'inchiesta. Fatto che permette agli sceneggiatori di ritagliarsi anche una certa libertà di cui non abusano. Non ci sono "stelle" del cinema e proprio per questo il cast funziona. Anonimo come i signor nessuno che prendono vita (pubblica) solo nel corso delle indagini.

La conclusione delle prime quattro ore sembra puntare decisamente il dito su Salvatore Vinci, pista sarda. Sospettato di aver liquidato la prima moglie, guardone, bisessuale, manipolatore, violento ma intelligente. La pistola Beretta del Mostro fu venduta a Villacidro, il paese sardo d'origine di Vinci. Molti modelli furono sequestrati ma quello del Mostro continuò a sparare. Nel film, Vinci finisce in tribunale intorno al 1988 ma il principale accusatore ritratta la sua testimonianza. Vinci torna a casa in Sardegna. Viene riconosciuto dai compaesani. Poi scompare, e nessuno ne sa più nulla. In realtà è morto a Prato nel 1997 per cause naturali. Ma scommettiamo che lo vedremo tornare nella seconda stagione. Il finale infatti rilancia. Gli omicidi terminano ma le indagini proseguono. Un uomo scrive alla polizia. Il suo vicino di casa, tale Pietro Pacciani, ha "sequestrato" la sua stessa famiglia e la tiene in ostaggio con la violenza.

I giochi si stanno per riaprire. Le indagini saranno interminabili, contraddittorie, con piste che spaziano dal maniaco solitario a sette sataniche, fino appunto a Pacciani (e ai "compagni di merende").

Anche la vicenda giudiziaria è stata infinita, con colpi di scena clamorosi. Tutto bene? Sì. La serie è molto bella ma la sensazione è che sia pienamente comprensibile fino a Chiasso e non oltre. Per quanto regia e sceneggiatura cerchino di contestualizzare, per chi non conosce già la storia potrebbe essere difficoltoso afferrare la trama fino in fondo. Speriamo non sia così. Anche perché in questo caso la seconda stagione noi vogliamo proprio vederla. La prima sarà disponibile su Netflix il 22 ottobre.

Sollima afferma che la serie non presenta una sola verità, ma suggerisce che i "mostri" possano essere più di uno, riflettendo le molteplici piste, interpretazioni e pregiudizi che hanno costruito il "mito" del Mostro di Firenze. Addirittura "mito"? "Lo diventa nel momento in cui è senza volto. Per questo dico mito, oscuro e collettivo". La serie cerca di dare un volto? "Tutti quelli possibili. In una storia in cui i mostri, nel corso del tempo e delle indagini, sono stati molti, il racconto li esplora uno a uno, tutti i possibili mostri, dal loro punto di vista". In casi come questi il problema è rispettare le vittime, non crede? Sollima: "L'orrore, per essere davvero raccontato, va attraversato, non aggirato. Non per risolvere, non per capire, ma solo per ricordare. Un modo per restare accanto a chi è rimasto lì, per sempre nella notte. Per noi il centro morale della storia è il ricordo delle vittime".

La serie si svolge prevalentemente negli anni Ottanta, con lunghi flashback ambientati alla fine degli anni Sessanta.

Fanno impressione le prime immagini. Mentre le grandi città italiane scoprono l'edonismo, la provincia sprofonda nel terrore senza volto. L'altra faccia della medaglia della Milano da bere sono i cadaveri martoriati nelle campagne fiorentine.

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