Da "Sorgenti" marce cresce un matrimonio fondato sull'abuso

Marie-Hélène Lafon racconta una vita di violenze quotidiane. Da cui lei non riesce a liberarsi

Da "Sorgenti" marce cresce un matrimonio fondato sull'abuso
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È tutto molto preciso, in Sorgenti di Marie-Hélène Lafon (Fazi, pagg. 110, euro 16). Le date, i luoghi, il computo di settimane, mesi e anni, i panni da lavare, il cibo da preparare, il personale domestico, le mucche, gli ettari delle fattorie, il ruscello a dividerle, il Résonnet, di qua Fridières, di là Soulages: nella prima è cresciuta lei, nella seconda lui. Lei e lui, adesso, hanno una fattoria tutta loro (trentatré ettari), un bene intestato perfettamente a metà, e hanno anche tre figli, due femmine e un maschio. Precisione anche lì: Isabelle, Claire, Gilles, "sette, cinque e quattro anni". Per la loro fattoria, lui e lei "hanno firmato a marzo del 1963, un giovedì, il 7, nello studio del notaio Allanche. Cadeva una pioggia mista a neve come il giorno del matrimonio, e loro avevano firmato, come il giorno del matrimonio". Lei ricorda ogni dettaglio e "non le lascia scampo, quella pioggia che guasta il suo orgoglio di proprietaria di una bella fattoria, con un vaccaro, un garzone e una domestica". Il fatto è che la proprietà, la bellezza, la precisione dei nomi e delle date e soprattutto l'orgoglio sono solo apparenza, come neve pronta a sciogliersi sotto due gocce di pioggia: su quelle terre della campagna francese, in quella bella fattoria, si consuma un abuso quotidiano, più che un matrimonio. Un voto di sottomissione di lei a lui: assoluta, muta e inspiegabile. Le Sorgenti della loro famiglia sono tutte lì: un luogo bucolico, che però accoglie e nutre radici marce.

Quando comincia il racconto di Marie-Hélène Lafon ci troviamo in un weekend di giugno del 1967: sabato 10 e domenica 11. "Lui dorme sulla panca, lei non si muove, il corpo inchiodato alla sedia". Non ha nemmeno rassettato la tavola, perché è atterrita dal fatto che, al minimo rumore, lui si sveglierebbe infuriato. E giù botte. La picchierebbe come "un sacco di patate", perché mentre la massacra con le mani e i calci la colpisce anche con le parole, rimproverandola di essersi sfasciata, dopo tre parti cesarei. "Tra tre settimane, il 30 giugno, lei compirà trent'anni". E a nemmeno trent'anni la sua esistenza si è già consumata. "Presto saranno otto anni di matrimonio; fa i calcoli, mancano sei mesi e diciassette giorni, si sono sposati il 30 dicembre 1959. Non le piace pensarci, non dovrebbe". E allora calcola, elenca, ripete. "Si aggrappa alle liste". Liste di animali, di faccende da sbrigare, di soldi da mettere da parte, di chilometri da percorrere per arrivare alla fattoria dei suoi genitori il giorno successivo, la domenica, come da abitudine: una domenica a pranzo a Fridières, una a Soulages. Si aggrappa alle liste perché, calendario alla mano, lui ha cominciato a picchiarla selvaggiamente quindici giorni dopo quel giorno di pioggia mista a neve, quello schifosissimo 30 dicembre del 1959, e non ha più smesso. Lo sanno tutti: la madre di lei, le sue sorelle, la figlia più grande, Isabelle. I due figli più piccoli forse non lo capiscono appieno, ma sono comunque terrorizzati.

In tutta questa precisione, lui si chiama Pierre e lei non ha un nome. Per molti anni pare non avere neanche una volontà, come rimprovera a sé stessa: in quella prima notte di violenza furibonda era fuggita, eppure poi, inspiegabilmente, anziché rifugiarsi a casa dei genitori e lasciare quell'uomo mostruoso, era tornata da lui. Il perché non sa dirselo. Però guarda i tre figli in giardino e pensa di non voler diventare come "la Marissou", che "da quando aveva divorziato, non andava più a messa; camminava rasente i muri, così come i due figli".

E invece, quella benedetta domenica di giugno, a pranzo dai genitori, nonostante la madre dispotica che da anni è indifferente al suo strazio, lei trova quella volontà sepolta sotto anni di insulti e amore inesistente. Confessa il male che vive ogni giorno, confessa che lui è una bestia, anzi peggio, perché le bestie non sono cattive.

Per gli avvocati è abbandono del tetto

coniugale. A detta di lui, quasi una liberazione da quella moglie "rammollita" e inetta. Per noi, una specie di lettura in apnea: un romanzo breve e duro, serrato e angosciante, che ci lascia il sapore amaro dell'ingiustizia.

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