Sovranismo digitale

In fondo, che il digitale non sia poi solo un elemento immateriale e che al contrario esso abbia ben solide radici reali e altrettanto solide esternalità reali, proprio come la cultura, ci è rimandato storicamente da una serie di temi

Sovranismo digitale

Nella sua origine storico-etimologica, testimoniataci al massimo livello dal Cicerone delle Tuscolane, il termine cultura indica un processo di elevazione di un individuo o di una civiltà attraverso la coltivazione dell'intelletto e delle virtù. Sarà in seguito, con la riflessione canonistica e filosofica medievale, che il concetto assumerà un senso più figurato. Nel successivo momento di sviluppo della proto-statualità e della apertura dei grandi spazi marittimi, essa tornerà per mano e penna di Pufendorf e Grozio al senso già illustrato da Cicerone ma con un respiro più peculiare. La cultura si farà infatti collante di perfezionamento di una convivenza ordinata e pacifica, tanto vero che Kant scriverà ne La critica del giudizio che la cultura incarna «lo scopo ultimo che la natura abbia ragione di porre relativamente alla specie umana». La de-individualizzazione della cultura la porterà quindi ad essere attratta nel canone del riconoscimento di un dato popolo e di una nazione. Sarà per questa, spesso tortuosa via, che la cultura, in Germania con Herder, in Francia con Comte, assumerà la coloritura di un reticolo di elementi tra loro cospiranti in grado di definire la nazione, dando vita alla riflessione sui processi sociali e alla antropologia e alla sociologia della cultura, con Simmel e Durkheim. La cultura assume le sembianze di un canone identificativo di un gruppo, di un insieme, elemento, in questo modo, connesso nel modo più intimo alla sovranità attorno cui sarebbero germinati gli Stati. Lezione questa che deve essere riguardata nel massimo grado soprattutto nella società digitale. Nel digitale, i fattori di produzione della cultura sono connessi strettamente a grandi soggetti privati, i quali non solo realizzano cultura nel senso di intrattenimento e di formazione dell'individuo ma generano anche cultura vista come la abbiamo descritta sino ad ora, ovvero quale comune codice espressivo, come regola fondante. «La debolezza dell'Europa» scrive Luca Balestrieri in Le piattaforme mondo. L'egemonia dei nuovi signori dei media (LUISS University Press), «sta nella mancanza di propri campioni: gli ecosistemi a proiezione globale che stanno rifondando anche la produzione culturale, ossia le piattaforme-mondo, sono statunitensi o in prospettiva anche cinesi». Ma c'è un altro aspetto in cui la cultura si connette alla sovranità digitale: ce lo ricorda Roberto Baldoni nel suo recente Sovranità digitale, pubblicato da Il Mulino. Secondo Baldoni, il mantenimento della sovranità digitale nel dominio cibernetico passa necessariamente attraverso il pieno controllo dei dati circolanti nel proprio Paese e risiede nella capacità tecnologica e nella competenza umana, nella consapevolezza dei rischi da parte di operatori e società tutta, nella capacità di istituire connessioni con istituzioni statali e internazionali. Capacità, competenza, conoscenza e consapevolezza sono temi nodali nello spazio della sicurezza digitale e della sovranità cibernetica. «Senza una adeguata consapevolezza dei rischi che potrebbero insorgere () non è possibile valutare la situazione in cui ci troviamo» rilevano Gabriele D'Angelo e Giampiero Giacomello nel loro Cybersicurezza, Il Mulino. Non c'è alcun dubbio che per avere piena consapevolezza, effettiva conoscenza, vera capacità, il collante basico sia lo sviluppo di una complessiva cultura digitale.

Nel campo digitale infatti si assiste a un ritorno alla cultura per come intesa da Cicerone: lavoro su di sé per migliorare e raffinare il grado di piena consapevolezza, nel generale quadro di una interconnessione che trasla gli elementi fondanti di uno Stato, come insieme di cittadini, dal reale al virtuale.

In fondo, che il digitale non sia poi solo un elemento immateriale e che al contrario esso abbia ben solide radici reali e altrettanto solide esternalità reali, proprio come la cultura, ci è rimandato storicamente da una serie di temi.

La groundedness, ovvero tanto la verità delle fonti di addestramento dell'intelligenza artificiale quanto l'impatto sulla realtà esercitato dall'alta tecnologia, a cui Henry Kissinger, Craig Mundie e Eric Schmidt hanno dedicato un intero capitolo del loro volume Genesi. Come navigare nell'era dell'intelligenza artificiale (Mondadori).

La geografia del cyberspazio su cui già nei primi anni duemila Martin Dodge e Rob Kitchin si erano esercitati con il loro Atlante del Cyberspazio: il software, l'intelligenza artificiale, il cyberspazio, divorano davvero il mondo, hanno una loro potenza trasformativa, una loro topografia, come riconobbe pure la ormai risalente ma ancora fondamentale sentenza della Corte Suprema americana Reno vs ACLU, del 1997.

Il canone reale del digitale si sposa con il canone altrettanto reale della cultura, come dispositivo di riconoscimento di una caratterizzazione dell'insieme sociale e dello Stato sovrano, secondo la linea concettuale già illustrata da Carl Schmitt ne Il concetto di politico. Non è possibile mantenere la piena sovranità se non si sviluppa una cultura condivisa, pienamente concepita e conosciuta, della presenza nel campo digitale di ciò che uno Stato è, non mera intersezione di confini ma appunto una cultura popolata di individui consapevoli. Alfabetizzazione digitale, consapevolezza di essere gli uni interconnessi agli altri e che il danno dell'uno potrà divenire danno sistemico, compresenza di fattori micro e macro, sviluppo di una innovazione competitiva, nel senso delineato da Balestrieri, fenomeno questo culturale per eccellenza.

Per quanti strumenti legislativi, tecnici, burocratici, repressivi, si vogliano immaginare e concepire nel

nome della sicurezza digitale, senza la modulazione di una cultura della presenza nel dominio digitale e del rapporto stesso del cittadino con l'alta tecnologia, nessun Paese potrà dirsi davvero padrone del proprio destino.

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