Eleonora Barbieri
da Milano
Il senso aristocratico e snob di Lady Bell aveva già trasformato la mania in un ironico gioco di società dal titolo «E questo dove lo metto? Detto anche souvenir». Nel 1913 limbarazzo di scaffali, cantine e scatoloni stipati non risparmiava case e famiglie, già afflitte dalla passione tutta turistica per gli oggetti ricordo. Oggi i negozi di souvenir hanno invaso ogni angolo del pianeta e non cè viaggio senza ricordino da portare ad amici, parenti e colleghi, un business che frutta al nostro paese circa 1,5 miliardi di euro lanno grazie ai visitatori stranieri. Bamboline, penne, matite, piatti da muro, statuine, riproduzioni di monumenti e magliette: tutto può fare al caso del viaggiatore, purché le dimensioni siano a misura di valigia, perché una vacanza sembra meno «vera» se non cè qualcosa a testimoniarla.
Per questo, secondo lantropologo del turismo Duccio Canestrini, si tratta di veri e propri «trofei di viaggio» (che danno anche il titolo a un suo libro, edito da Bollati Boringhieri): «Foto, cartoline e souvenir fanno parte di un rituale, quello della certificazione dellesperienza che è acquisto, ostentazione e, poi, racconto delle proprie gesta, ricalcando il copione ormai classico della performance turistica».
Un istinto ereditato dai pionieri dellesplorazione planetaria, come lo scienziato Alexander Von Humboldt (fratello minore del letterato Wilhelm) che, fra la fine del Settecento e la metà dellOttocento, ha setacciato il Sud America, arricchendo la propria spedizione con casse stracolme di pietre, piante, ossa, animali inusitati e oggetti darte, raccolti con perizia e curiosità famelica. La convinzione del naturalista tedesco era di apportare progressi cruciali alla storia delle scoperte scientifiche e geografiche, lambizione dei turisti contemporanei, anche i più avventurosi, si accontenta, leopardianamente, di «sovvenire», aiutare la memoria attraverso il ricordo stesso. In cima alla lista degli oggetti più amati e acquistati di questa estate - spiega la rivista Per me, basandosi sul sito worldofkitsch.com - compaiono le miniature di statue, monumenti e opere darte, seguite dalle icone (volti di personaggi storici o famosi stampati su piatti, bicchieri e medaglie), magliette con il nome o la fotografia della città e, al quarto posto, le targhe, una moda che, dagli Stati Uniti, negli ultimi anni si è diffusa in tutto il mondo. «Comprare souvenir è unattività compulsiva - spiega Canestrini - obbediamo allimpulso di cercare qualcosa di tipico, un emblema del luogo anche se, magari, loggetto è stato realizzato in serie in Cina o a Taiwan». Senza dimenticare una punta dironia: «Lelemento del gioco è fondamentale: spesso ci innamoriamo di oggetti orribili e ciò che ci attira è proprio il loro essere kitsch e, magari, allopposto rispetto al nostro stile. Per me, ad esempio i crocifissi in conchiglie sono irresistibili». Una volta cerano le targhette dei rifugi o delle località da apporre ai bastoni da passeggio e da montagna, oggi ci sono gli zoccoli olandesi (presenti su ogni bancarella del globo), gli animali di cristallo, i posacenere del Ritz (ogni anno dallhotel parigino ne scompaiono circa seimila), i coccodrilli in ceramica, le maschere (veneziane e napoletane, africane e orientali, ma anche da pirata), i magneti a forma di monumento o con il nome della città. E, poi, i cherubini (stampati su qualunque materiale), portachiavi di ogni forma, set di tovagliette in plastica o in sughero, fino alla Torre Eiffel trasformata in macinapepe, la sabbia della spiaggia di Budelli asportata perché protagonista de Leclisse di Antonioni, armi giapponesi o «medievali», candele a forma di eschimese. Anche gli oggetti naturali (il sassolino, la foglia, la conchiglia) possono trasformarsi in ricordini.
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