Cultura e Spettacoli

Affari e industria in libreria. La rivincita del capitalismo

La biografia di Del Vecchio scala le classifiche online. E molti romanzi si chiedono: il mercato esiste ancora?

Affari e industria in libreria. La rivincita del capitalismo

Il capitalismo muore, viva il capitalismo. Mentre le grandi dinastie industriali perdono i leggendari fondatori, l'interesse degli scrittori per i meccanismi del mercato sembra in crescita. La coincidenza colpisce. È come se fosse giunto il momento di fare un bilancio e di solito i bilanci si tirano alla fine di una storia. Vuol dire che abbiamo superato una fase del capitalismo o il capitalismo stesso? Il materiale per interrogarsi, come vedremo, non manca. Faremo appello solo a romanzi ambiziosi, che riflettono sull'epoca. Non ci occuperemo invece dei banali romanzetti di denuncia delle presunte storture del neoliberismo. Ne sono pieni gli scaffali delle librerie ma non servono a nulla, guardano troppo in basso. Lasciamo stare anche i titoli storici, da Paolo Volponi fino a Thomas Mann.

Intanto osserviamo che dopo la morte del patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, la sua biografia scritta da Tommaso Ebhardt per Sperling & Kupfer è schizzata al primo posto nella classifica di vendita di Amazon. L'algoritmo di Bezos è ballerino, a volte basta poco per avere vertiginose ascese e rovinose discese, ma qui siamo di fronte a più di un fuoco di paglia. Dopo tre giorni dalla morte di Del Vecchio, il libro è il più venduto della intera settimana. Bernardo Caprotti, una vita, un romanzo ancora da scrivere, se ne è andato lasciando in eredità un long seller autobiografico: Falce e carrello.

Quest'anno sono usciti ben due romanzi dedicati alla figura di Raul Gardini: L'ultima notte di Raul Gardini (Chiarelettere) di Gianluca Barbera e Il tuffatore (La nave di Teseo) di Elena Stancanelli. Gardini, ultimo corsaro, disposto al rischio come il suo mentore e suocero Serafino Ferruzzi.

L'industria di Stato non fa eccezione: recente è il romanzo di Federico Mosso Ho ucciso Enrico Mattei (Gog edizioni). Torniamo alla fine degli anni Cinquanta. A molti, perfino in Italia, pare sbalorditivo che Enrico Mattei, presidente dell'Eni, pensi a un Paese libero da influenze straniere, con una crescita da ottenersi attraverso l'indipendenza energetica, e dunque via alle trivelle nella Pianura Padana e in giro per il mondo, ovunque vi sia il sentore di oro nero da estrarre o acquistare e distribuire. Il futuro sono i pozzi. Attualissimo. Con una politica aggressiva, Mattei fa affari clamorosi con l'Unione Sovietica, spiazza le multinazionali americane, batte in velocità la Francia nelle ex colonie o nelle colonie in cerca di libertà. L'Eni diventa uno Stato nello Stato. L'aereo privato di Mattei cade a Bascapè, provincia di Pavia, mentre inizia la manovra di avvicinamento a Linate. È il 1962 e l'inizio di uno dei grandi misteri italiani. Incidente o sabotaggio?

Un italiano, Stefano Massini, ha ottenuto un successo straordinario con Qualcosa dei Lehman (Mondadori), romanzo plurilingue in versi ma anche trilogia teatrale fresca vincitrice dei prestigiosi Tony Award. È la storia della ascesa della banca d'affari nota per aver innescato, con il suo fallimento, la grande crisi economica del 2008. Le gioie (e i dolori) delle speculazioni, del giocare al ribasso, della scommessa sulle azioni è sviscerato in Trust (Feltrinelli) di Hernan Diaz.

Gli Effinger (Einaudi) di Gabriele Tergit partono da lontano: il lettore assiste all'ascesa e al rapido declino della borghesia imprenditoriale. Alla fine del secolo XIX iniziano a confrontarsi due tipi diversi di capitalismo: uno dedito alla speculazione finanziaria, ovvero fare soldi con i soldi, tanti e subito; un altro dedito alla produzione, attento anche al contesto storico, oggi diremmo «economia sociale di mercato», caratteristico proprio della Germania moderna. Senza dubbio, Tergit ci descrive un mercato nonostante tutto libero, dove il migliore (o il più tenace o il più innovatore) riesce a eccellere. Proseguendo, questo mondo, che noi chiamiamo «capitalista», va in frantumi. I figli non hanno voglia di fare i sacrifici dei padri, preferiscono investire le rendite e dedicarsi alla Borsa. La moralità borghese, per quanto bigotta, imponeva obblighi verso la comunità. La nuova moralità è invece tanto permissiva quanto incapace di guardare al di là del proprio conto corrente.

Poi arriva la Prima guerra mondiale che mostra l'altro aspetto delle macchine: quello distruttore. Dopo la fine del conflitto, cambia l'aria. Guadagnano soltanto gli speculatori più spregiudicati. Le imprese, per non soccombere, iniziano processi di fusione oppure vengono cedute alle grande aziende in grado di resistere alla svalutazione. E con questo, diciamo addio al capitalismo... per arrivare al mondo di oggi, che ha portato questa trasformazione alle estreme conseguenze. Siamo passati dalle aziende multinazionali alle aziende sovranazionali, con budget superiori a quelli di uno Stato, e uno statuto incerto: sono ancora imprese o Stati privati o ancora qualcosa d'altro? Qual è il rapporto tra i vecchi Stati e le Sovranazionali? Le Sovranazionali offrono la sorveglianza, attraverso i Big Data, in cambio di politiche economiche convenienti alle grandi concentrazioni. Cosa rischiamo in concreto? La libertà. Chi ci profila, ci influenza, ci condiziona e infine ci imprigiona.

Certo, da qualche parte, non importa più dove, ci sono anche magazzini e camion e manodopera, ma la vera fonte della ricchezza sono l'informazione e i brevetti necessari per mantenere il monopolio sulle tecnologie informatiche. Che senso ha utilizzare il marxismo classico e il liberismo classico per capire questa situazione?

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