Alfred Einstein, la musica è relativa

Cugino dello scienziato, studiò a fondo tutti i più grandi autori

Albert e Alfred Einstein erano cugini. Ma se il genio del primo è stato consegnato alla storia, quello del secondo è finito nel cassetto dei grandi dimenticati: Alfred Einstein, infatti, soprannominato «il piccolo Einstein» per distinguerlo dal cugino, fu uno dei massimi musicologi del Novecento. Nato nel 1880, per fuggire al nazismo emigrò a Londra, poi in Italia, dove studiò la nostra musica del Cinque, Sei e Settecento, e poi negli Stati Uniti dove ottenne cattedre in varie prestigiose Università. La sua competenza abbracciò pressoché tutta la storia della musica e il titolo di questa raccolta di suoi scritti curata da Francesco Bussi, Da Schutz a Hindemith (Libreria Musicale Italiana, pagg. 224, euro 28), lo testimonia: Heinrich Schutz, che «spicca singolarmente tra tutti i musicisti veramente grandi», e Paul Hindemith, un «arcimusicista» sulla scia di Bach.

In questa raccolta si scorgono anche alcuni fili rossi geografici: c'è la Germania, c'è l'Italia e ci sono gli Usa. La Germania filtra in quel canone che va proprio da Schutz a Hindemith passando per Bach, Beethoven, Brahms, Wagner (Einstein, benché ebreo, ebbe l'onestà di non misconoscere i meriti del compositore nonostante lo spettro dell'antisemitismo), Richard Strauss, Alban Berg. E poi c'è l'Italia nella musica di Bach, che mai mise piede da noi, l'Italia della musica antica rinascimentale fino a quella (amata da Einstein) di Verdi, «uomo semplice, forte, appassionato e insieme riservato». Infine, l'aspetto tutto americano del taglio di alcuni scritti del musicologo destinati ai lettori statunitensi, quindi quasi divulgativi.

Chiudono il volume due saggi che vogliamo citare separatamente quale indice dell'originalità e grandezza del critico musicale. Ci riferiamo a Opus I, dedicato alle pagine con cui Bach, Händel, Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Brahms, Wagner e Strauss si presentarono sulla scena musicale del loro tempo: questo perché, scrive Einstein, «l'inizio è importante, è indicativo dell'epoca e della personalità».

Infine, Opus ultimum, «quello che lima, che conclude, che porta a compimento», la chiusura di ogni carriera di quei compositori aggiungendovi, però, Verdi perché era troppo gustoso il Falstaff, «la più stupefacente fatica senile esistente», per non valutare più compiutamente l'arte di «un padreterno dell'opera».

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