La bacchettata

Il progetto di portare al Teatro alla Scala le opere di Georg Friedrich Händel, allargando il repertorio del pubblico scaligero, di per sé è un intento lodevole. In un teatro di piccole dimensioni il progetto nascerebbe nelle condizioni migliori. Ma a confliggere con le buone intenzioni non c'è solo la vastità della sala e del boccascena, ma anche l'infelice acustica, spesso «parziale», della Scala. Quanto poi alla creazione di un'apposita orchestra «su strumenti storici», nonostante la dedizione valorosa del direttore Diego Fasolis, la strada da percorrere è ancora lunga. Per Tamerlano il reparto vocale era capitanato niente meno che da Placido Domingo, ormai giunto allo stremo del suo storico, immenso carisma scenico. Accanto a lui, molto applauditi, i controtenori Bejun Mehta e Franco Fagioli, che non hanno lesinato puntiglioso impegno, non dissipando la sensazione di un'emissione fabbricata (perché non si usano più anche le voci femminili di contralto?) Completavano il sestetto vocale l'eccellente Marianne Crebassa, Maria Grazia Schiavo e Christian Senn. Il regista Davide Livermore ha impostato il tutto sul presupposto che le opere barocche siano una successione di situazioni che poco o nulla hanno a che fare con la storia. Così ne ha inventata una sua, ambientata nella Russia del 1917.

Treno in movimento, betulle innevate, palazzotto occupato dai bolscevichi, spari e bombe: la sfilza di recitativi e arie (e qualche aria «di baule») scorreva come un cinerama in clima Pasternak: mancavano soltanto Omar Sharif e Julie Christie.

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