La bacchettata

Trentasei anni di assenza. Ernani di Giuseppe Verdi mancava alla Scala dal 1982, quando Riccardo Muti inaugurò la stagione. È un'enormità, soprattutto perché non è un opera minore, ma un capolavoro. E la ragione? Ci soccorre l'utilissima cronologia degli allestimenti scaligeri: nove riprese fra il 1844 e l'Unità d'Italia; poi nel successivo secolo e mezzo, solo otto riprese. Ma tutte guidate da direttori insigni (Faccio, Panizza, Marinuzzi, Gavazzeni, Votto e Muti). E intorno a soprano di vario calibro, i maggiori tenori, baritoni e bassi del tempo: Tamagno, Maurel e De Reské, Mattia Battistini e Navarrini, Merli, Bechi e Pasero, Corelli, Bastianini e Rossi-Lemeni, Domingo, Cappuccilli e Bruson con Ghiaurov. Interpreti di grande peso vocale e scenico. Ecco, forse, la ragione della lunga assenza. E in questa benvenuta ripresa mancava proprio l'autorità scenica ad eccezione del sontuoso Ildar Abdrazakov (Silva), oggi giustamente il migliore in chiave di basso. Francesco Meli era un Ernani efficiente ma monocorde, Luca Salsi (Carlo re di Spagna che ascende al soglio di imperatore del Sacro Romano Imperatore), percorreva un suo personale calvario nell'intonazione, mentre Ailyn Perez più che una fiera figlia d'Aragona che fa innamorare un re, un grande di Spagna e un duca- bandito, rimaneva una fanciulla intimorita.

Spettacolo che inizia benissimo e poi si fissa in una cartolina Liebig con tocchi grotteschi voluti e fuori luogo. Peccato: il regista Bechtolf era quello dello stupendo Hänsel und Gretel dell'anno scorso. Sul podio, Adam Fischer ha seguito con ordine e merito cantanti e coro.

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