Cultura e Spettacoli

Le confessioni di Montanelli tra narcisismo e sarcasmo

Esce una antologia di passi autobiografici con giudizi fulminanti su se stesso. Senza scordare amici e nemici

Le confessioni di Montanelli tra narcisismo e sarcasmo

«Qui riposa Indro Montanelli. Genio compreso. Spiegava agli altri ciò che egli stesso non capiva». Questo bellissimo auto-epitaffio, vergato fortunatamente con larghissimo anticipo tra il 1955 e il 1958, riassume molti aspetti di Indro Montanelli (1909-2001): il narcisismo; il dubbio di essere un magnifico imbonitore di lettori ma privo di sostanza culturale; la comprensione perfetta del mestiere di giornalista; la capacità innata di ritrarre una persona con pochi, essenziali tratti; l'ironia lucida e amara, che fa presto a passare dalla risata alla depressione. Quello che molti non sanno è che si tratta, in realtà, di una rivisitazione di una battuta di Leo Longanesi: «Montanelli è uno che spiega agli altri quello che non capisce». Al «carciofino sott'odio», Indro riservò quest'altro epitaffio: «Qui giace per la pace di tutti Leo Longanesi uomo imparziale. Odiò il prossimo suo come se stesso».

Se non mi capite, l'imbecille sono io di Indro Montanelli è un autobiografia irregolare vale a dire realizzata dall'officina editoriale Rizzoli andando a pescare i brani più significativi e divertenti (spesso le due qualità coincidono) della ricchissima produzione montanelliana. Il risultato è una autobiografia intellettuale. Non contano le date e i fatti ma le idee (e gli incontri). Qualche esempio. Montanelli sul diritto di morire: «Sono loro (i medici, ndr) che devono riconoscere il sacrosanto (dico e ripeto: sacro e santo, checché dicano i bigotti della sacralità della vita) diritto dell'uomo a scegliere il quando e il come della propria morte». Montanelli presunto credente: «Credo in Qualcuno. Non credo che saprò mai, né da vivo né da morto, chi è e com'è fatto». Montanelli presunto ateo: «Quando io dico che mi manca la fede, lo dico con disperazione, non con protervia». Montanelli tragico fatalista: «Io forse sarà ricordato, quando avrò preso congedo da questo mondo, da qualcuno dei miei lettori, non certamente dai loro figli. So di aver scritto sull'acqua».

Naturalmente ci sono le guerre di cui Montanelli fu testimone, oltre a quella africana combattuta in prima persona. Nel 1942 chiudeva così un pezzo sulla Seconda guerra mondiale: «La nostra posizione era imbarazzante anche per questo: non si vedeva nulla». Dunque, la difficile posizione del reporter embedded, al seguito, non è nata con la prima guerra del Golfo. Molto belli sono gli stralci da I cento giorni della Finlandia, resoconto (quasi) dal campo della eroica resistenza finlandese all'avanzata dell'Armata Rossa. Un aneddoto bruciante illumina il dramma della dichiarazione di guerra alla Francia del 10 giugno 1940. L'Italia si abbandonava a un applauso generale e, nello stesso tempo, se ne pentiva. La guerra creava una frattura «che avrebbe diviso tutta la nostra generazione: o con fascismo e l'Italia, o contro il fascismo ma anche contro l'Italia. E ora non ci resta che perderla disse quella sera Pannunzio a Longanesi. Leo saltò per aria: Parole di traditore!» . Ci sono gli storici reportage da Budapest ubriaca di libertà nel 1956. Montanelli scrisse subito che era una ribellione contro il comunismo sovietico ma favorevole a un socialismo umano. Scontentò tutti però aveva ragione. Non sfuggì a Indro che in Italia qualcuno non era affatto contrario ai carri armati sovietici e alla repressione degli insorti. « Captammo Roma. Trasmettevano il discorso del ministro Martino. Un bel discorso. Ma, a chiusura, udimmo il grido lanciato in aula dai deputati comunisti: Viva l'Armata rossa!. A pochi passi da noi, l'Armata rossa stava mitragliando nelle cantine gli operai e gli studenti di Budapest, rimasti senza munizio ni». Dal punto di vista letterario, i ritratti, molti dei quali raccolti nei due volumi degli Incontri sono il piatto forte. Indro amava scherzare sulle persone che amava. Amico di Piovene, e suo estimatore al punto di fondare con lo scrittore il giornale che state leggendo, lo fece più volte a fettine: «Per temperamento, Piovene era un sadico che avrebbe fatto impallidire Jack lo Squartatore, ma fortunatamente era così pauroso di tutto che non ebbe mai l'ardire di uccidere neppure una mosca». In Se non mi capite, l'imbecille sono io sfilano, oltre ai già citati, inarrivabili ritratti di Curzio Malaparte, Mario Soldati, Ennio Flaiano, Salvador Dalí, Giovanni Spadolini, Giulio Andreotti, Alcide de Gasperi, Ottone Rosai, Eugène Ionesco e molti altri. Montanelli è capace di essere spietato. Leggete le righe dedicate a Eugenio Montale: «È difficile sorridere a Montale. Sul suo volto chiuso la cordialità scivola via come acqua su una lastra di marmo». Un'ampia sezione è riservata al mondo del cinema con un cattivissimo epitaffio per Alida Valli: «Qui per la prima volta Alida Valli giace sola».

Brucianti anche i giudizi sulle ideologie del XX secolo. Fascismo: «Il più comico tentativo per instaurare la serietà». Di Togliatti scrisse che era «impiegato modello di rivoluzioni parastatali»; di Nenni disse che «sognò barricate su cui passeggiare in pantofole». Non fece sconti alla borghesia liberale solo a parole: «Essi non servono le loro imprese, se ne servono. Si battono contro le intrusioni dello Stato, ma ne sollecitano i favori. E che razza di destra possiamo da essa aspettarci?». Le riflessioni sulla borghesia sono sulla scia di Longanesi. Gli aforismi sull'Italia hanno invece un debito con la famosa divisione fra furbi e fessi teorizzata da Giuseppe Prezzolini: «Tra gli italiani la solidarietà non esiste. Esiste la complicità». Gli intellettuali sono massacrati: «La cultura italiana è mafiosa perché nasce nel Palazzo, al servizio del Principe. Il Principe cambia, al suo posto arriva il Granduca, il papa o il Partito. Ma la cultura resta una faccenda d'iniziati e per iniziati».

Dunque di autobiografico in Se non mi capite, l'imbecille sono io (titolo che è anche la regola fondamentale del giornalismo) non c'è quasi niente, anche se le lacune non mancherebbero: che ne è, ad esempio, della primissima produzione letteraria e delle circostanze in cui nacque? Non era questo libro la sede giusta, è chiaro.

Se non mi capite, l'imbecille sono io resta una lettura tanto divertente quanto intelligente.

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