Negli Stati Uniti il dibattito è chiuso. Per paura

Un paio di mesi fa la Courtauld Gallery di Londra ha cambiato la didascalia del celebre dipinto Un Bar aux Folies Bergère di Édouard Manet per mettere in guardia il visitatore

Negli Stati Uniti il dibattito è chiuso. Per paura

Un paio di mesi fa la Courtauld Gallery di Londra ha cambiato la didascalia del celebre dipinto Un Bar aux Folies Bergère di Édouard Manet per mettere in guardia il visitatore - ed evidentemente per prenderne le distanze - dal fatto che uno degli avventori ritratti stia gettando uno sguardo maschilista alla ragazza che serve al bancone. L'opera è del 1881-1882 e il locale parigino, come è noto, era frequentato da prostitute, clienti e protettori... Pochi giorni fa, invece, il Washington Post - campione della libertà di parola - ha sospeso il giornalista David Weigel (per un mese, senza stipendio!) per aver ritwittato una battuta sessista. E, dopo che a Johnny Depp era stato chiesto di dimettersi dal ruolo di Grindelwald nella serie cinematografica Animali fantastici per via delle accuse di violenza sessuale verso la ex moglie Amber Heard, ora che è uscito assolto dal processo è scattata una petizione online - in senso uguale e contrario - per rimuovere la Heard dal sequel di Aquaman per aver infangato l'ex marito...

Sono episodi diversissimi, accomunati dalla stessa follia ideologica, chiamata cancel culture che - moderno maccartismo guidato da una dilagante polizia del pensiero e del linguaggio - percorre da anni la società americana e che ha pericolosi riflessi anche su quella europea. La quale pure sembra essere più disincantata in materia, grazie a un retroterra culturale millenario caratterizzato da un maggiore scetticismo e minori moralismi.

La cancel culture, che come spesso accade ai movimenti per i diritti civili ha cominciato con le migliori intenzioni e ha finito con lo scivolare nelle peggiori intransigenze, è un fenomeno di cui si è capito l'essenza - è un fenomeno che colpevolizza, spesso retroattivamente, senza processi e sulla base di isterie collettive, personaggi storici o famosi per aver detto o fatto qualcosa oggi considerato offensivo o politicamente scorretto nei confronti di una qualche minoranza - ma che sfugge nei suoi contorni e nelle reali motivazioni.

Ora un ottimo strumento per orientarsi nelle legittime aspirazioni (in realtà molto rare) della cancel culture, nelle sue derive (devastanti), nelle sue origini e nelle sue diverse declinazioni al di là e al di qua dell'Atlantico, è il saggio di Costanza Rizzacasa d'Orsogna dal titolo Scorrettissimi, sottotitolo: «La cancel culture nella cultura americana» (Laterza, in libreria da venerdì), a oggi lo studio italiano più completo su quella che è cominciata come cultura della cancellazione e si è trasformata in cancellazione della cultura. In nome di comprensibili rivendicazioni antirazziste, antimaschiliste e antisessiste, il combinato disposto politicamente corretto, #MeToo, «Woke culture», Black Lives Matter e rivendicazioni del variegato universo LGBTQ negli ultimi anni ha abbattuto e sfregiato statue; messo alla gogna social attori, politici, cantanti, giornalisti e scrittori; riscritto o censurato classici della letteratura; sbianchettato film e opere teatrali; additato al pubblico discredito capolavori della storia dell'arte (da Paul Gauguin a Balthus); fatto cambiare pubblicità; chiesto il ritiro di libri; bloccato serie televisive... I Nuovi Puritani sono al lavoro giorno e notte, su tutti i fronti.

E così eccoci al libro di Costanza Rizzacasa d'Orsogna, esperta di cultura americana e che ha avuto l'occasione di intervistare molti intellettuali, da una costa all'altra degli States, coinvolti in quella che appare come la peggiore delle cacce alle streghe 2.0: un cocktail micidiale di ideologizzazione, ignoranza e razzismo au contraire. Siamo alla dittatura delle minoranze... L'autrice contestualizza la parola, spesso abusata, di «cancel culture» rispetto a termini attigui come «appropriazione culturale», «hate speech», «mascolinità tossica», e «white privilege». Spiega come il fenomeno nasca e si arrocchi con ostinazione a sinistra - la sinistra liberal e illiberale negli Stati Uniti, il progressismo cieco e intollerante da noi - pur evidenziando anche alcuni casi di censure nella destra più bigotta (contro libri e autori che sostengono e propongono fin dalle scuole primarie la teoria del gender). Soprattutto, scandagliando la grande stampa americana e il mondo della Rete, il libro mappa i casi più eclatanti di messa all'Indice, licenziamenti, ostracismi, rimozioni, (falsi) vittimismi e riorganizzazione dei programmi universitari. Nei college si rischia di abbandonare lo studio del latino e del greco perché ritenuti espressioni di civiltà colonizzatrici, così come si sono già persi alcuni classici considerati omofobi, maschilisti, razzisti...

Oltre duecento pagine, nove capitoli, una «Introduzione» puntuale su come l'America abbia ripensato il proprio canone letterario (e non solo) sulla base del politicamente corretto, alcuni illuminanti casi di studio (come l'incredibile vicenda del bestseller Philip Roth: The Biography mandato al macero dopo che l'autore Blake Bailey è finito sotto accusa - non condannato - per molestie sessuali, come se si potesse ritirare dal mercato un aspirapolvere, o un'auto ecologica, nel momento in cui il suo inventore finisse a processo per stupro; oppure la crociata contro i libri di Mark Twain o della stessa Harper Lee perché contengono l'impronunciabile parola «nigger», «negro»; o, ancora, il cambiamento di ricezione, negli ultimi tempi, della figura e dell'opera del «machista» Ernest Hemingway...); e poi le «Conclusioni», molto equilibrate, ma che non lasciano spazio a dubbi: dobbiamo smettere di leggere Philip Roth perché misogino? Dobbiamo giudicare i capolavori della letteratura del passato alla luce delle sensibilità odierne? «Dobbiamo smettere di leggere Faulkner per non essere riuscito a fare i conti con il razzismo sistemico se cento anni dopo l'America stessa non riesce ancora a farli?». Insomma, «Se la cultura è un ponte, come si dice spesso ipocritamente, allora perché bandirla?». E a noi vengono alla mente recentissimi casi italiani, come il sindaco di Milano Beppe Sala che decide quali artisti russi possono o no esibirsi alla Scala...

Scorrettissimi è un libro scorretto, documentato, necessario. E a suo modo terribile. Dimostra come - sempre con le migliori intenzioni... - la sinistra paradossalmente più colta (l'ondata della cancel culture parte dai college, dai giornali, dalle case editrici, non dalle periferie dell'America trumpista) abbia soppresso l'essenza stessa della democrazia e la base dell'insegnamento, ossia il dibattito. Per paura di ritorsioni, si è persa la volontà di dialogare. I temi non sono più dibattuti, solo cancellati.

Ormai, spiega sconsolato il presidente della Foundation for Individual Rights in Education, Greg Lukianoff, «è passato il messaggio che se hai un'opinione diversa, è meglio che tu tenga la bocca chiusa». Sarà la stessa cosa anche in Italia?

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