Mentre la star britannica della stand-up comedy Chloe Petts sostiene con il sorriso sulle labbra che la cancel culture non esiste - «Wake up! Cancel culture doesn't exist» ha scritto l'altro giorno su The Big Issu, popolarissimo street paper pubblicato in quattro continenti - i casi di censura&cancellazione iperpolticamente corretta si moltiplicano non solo da una parte all'altra dell'Atlantico, ma esondano oltre l'Occidente, fino a investire la lontana India.
Un paio di settimane fa la scrittrice indiana Geetanjali Shreem - che a maggio con il romanzo in hindi o Ret Samadh (in inglese Tomb of Sand, cioè Tomba di sabbia) ha vinto l'International Booker Prize, uno dei più importanti premi letterari al mondo - ha dovuto annullare un evento ad Agra dopo la denuncia di un lettore. L'accusa? Il suo libro conterrebbe «commenti discutibili» sulle divinità indiane, urtando la sensibilità degli Indù. La presentazione era organizzata dalle associazioni culturali «Rangleela» e l'«Agra Theatre Club». Piuttosto che finire in un tritacarne mediatico di cui non si può immaginare l'effetto finale, meglio cancellare tutto. E uno.
Due. Ieri, a pochi giorni dall'uscita nelle sale di Nuova Delhi, il nuovo film della super star indiana Aamir Khan Laal Singh Chaddha, un remake hindi di Forrest Gump, è stato investito da feroci polemiche. Il film, un mega prodotto di Bollywood, rischia di essere bloccato dopo che l'hashtag #BoycottLaalSinghChaddha ha iniziato a fare tendenza su Twitter. Il motivo? Qualcuno ha fatto girare sui social dei frammenti di una intervista rilasciata da Aamir Khan nel 2015, trovata su internet, in cui l'attore affermava che lui e la ormai ex moglie, la regista Kiran Rao, volevano lasciare l'India e trasferirsi all'estero a causa della «crescente intolleranza» che vedevano montare nel Paese. Da lì il linciaggio mediatico. Aamir Khan, che recita nel ruolo del protagonista in Laal Singh Chaddha, e ha anche co-prodotto il film, e rischia quindi un danno economico enorme, ha dovuto rispondere sui social al boicottaggio scusandosi con i suoi concittadini: «Sono triste perché molte persone credono che io non ami l'India... E non è affatto vero. Amo davvero il mio Paese». Si chiama abiura. Poi, c'è un ulteriore livello, e si chiama umiliazione. «Voglio assicurare i miei fan e gli spettatori che non è così, quindi per favore non boicottare il mio film, per favore andate a vederlo», ha implorato l'attore.
Pessimi tempi per scrittori, professori, artisti, cineasti: basta una frase sbagliata, anche vecchia di anni, ma di cui rimane traccia nella Rete, e un'intera carriera rischia di sparire di fronte all'indignazione - retroattiva - di pochi fanatici che voglio appiattire ogni manifestazione del pensiero sui valori etici dell'oggi.
E così - mentre qualche comico sostiene che non esiste - la cancel culture, facendo finta di fare i conti con il passato, azzoppa il presente. Gettando ombre inquietanti - fra statue abbattute, opere boicottate e autori messi alla gogna - sulla libertà di parola nel nostro futuro.
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