La dittatura degli intellettuali tutti di sinistra per interesse

Il socialismo è un'idea borghese e porta al capitalismo di Stato. Con la furba complicità dell'intellighenzia

La dittatura degli intellettuali tutti di sinistra per interesse

Edoardo Bennato, nel suo capolavoro Burattino senza fili, una anarcoide rilettura di Pinocchio, aveva indovinato cosa sarebbe successo in questi due anni nei quali i medici, con il concorso esterno di dotti e sapienti, hanno preso la parola per non restituirla mai più, visto che si sono abituati alle telecamere. Citiamo da Dotti, medici e sapienti: «E nel nome del progresso / Il dibattito sia aperto / Parleranno tutti quanti / Dotti medici e sapienti // Tutti intorno al capezzale / Di un malato molto grave / Anzi già qualcuno ha detto / Che il malato è quasi morto». Era il 1978.

Se il ruolo dell'intellettuale, come gli intellettuali stessi teorizzano, è quello di sfidare le convenzioni e il potere, possiamo affermare che in Italia hanno tradito la loro missione. Non hanno combattuto contro il conformismo, l'hanno alimentato, stando ben attenti a restare sempre all'ombra del potere, un potere qualsiasi, come dimostrano i cambi di casacca dopo il crollo del Fascismo, quando camicie nere di comprovata fede sono passate alla camicia rossa. Un esempio per tutti: Elio Vittorini, cantore dello squadrismo intransigente nel Garofano rosso e poco dopo della Resistenza intransigente in Uomini e no. La maggior parte degli intellettuali, scriveva Antonio Delfini, lui sì controcorrente, durante il Fascismo non disse una parola, in attesa di raccogliere il potere alla caduta del regime.

Poi sappiamo come è andata nel dopoguerra. Dichiararsi di sinistra era quasi un obbligo. Chi non ci stava, rischiava di essere tagliato fuori. La contestazione degli anni Sessanta si rivelò funzionale a due scopi, uno indesiderato e l'altro bramato: rafforzare il capitalismo, spazzando via i residui valori tradizionali; e lanciare brillanti carriere. Finito il comunismo, tolti alcuni sparuti nostalgici, ancora convinti che fosse un'idea bella ma realizzata male, è iniziata l'epopea del politicamente corretto, un gioco di parole inconcludente ma non innocente.

Abbandonati i lavoratori, che, avendo mangiato la foglia, votano a destra, la sinistra si è gettata sui diritti civili. Voi direte: ma sono sacrosanti. Noi rispondiamo: i diritti dello Stato liberale, che sottraggono l'individuo all'arbitrio perché le leggi si applicano senza alcuna distinzione, sono intoccabili. Al contrario, la moltiplicazione dei diritti, attribuiti in funzione dell'appartenenza a una minoranza (etnica, culturale, sessuale), porta alla frammentazione e reintroduce l'arbitrio. Allo Stato si riconosce il dovere di intervenire e il potere di decidere cosa si può fare e cosa si può dire. La libertà, invece, richiede di rispettare il pluralismo che lo Stato può annientare assimilando ogni differenza. Oggi possiamo anche intuire il fine di chi asseconda il politicamente corretto, ideologia ufficiale del potere politico ed economico: i cittadini devono essere tutti uguali alla cassa del supermercato globale, per semplificare gli affari. Gli intellettuali progressisti sono i chierici coccolati dal sistema. Altro che trasgressione, siamo di fronte alla parodia dell'indipendenza di giudizio recitata da chi sfonda porte spalancate, fingendo di compiere chissà quale impresa mentre liscia il pelo al conformismo. Non è così? E allora perché il potere, invece di perseguitarli, premia questi commedianti con montagne di visibilità e di pecunia?

Esiste una ampia letteratura sul tradimento dei chierici, da Julien Benda a Friedrich von Hayek, da Raymond Aron ad Alain Finkielkraut. Aggiungiamo alla lunga lista Jan Waclaw Machajski, personaggio ignoto ai più, ripescato dalle edizioni Gog, che pubblicano una antologia di scritti con il titolo La dittatura dell'intellighenzia. Machajski nasce a Pintzov, nella Polonia russa, il 15 dicembre del 1866. Si laurea in medicina e si avvicina al socialismo. Finisce in Siberia durante le lotte contro lo Zar. Ottima occasione per approfondire il marxismo. Risultato finale: Marx viene usato da Machajski come arma contro gli intellettuali marxisti. Niente di strano se i bolscevichi, giunti al potere, spingono il troppo anarchico Machajski ai margini del dibattito. La bella prefazione di Lorenzo Vitelli avvicina Machajski a Gustave Le Bon, Georges Sorel e soprattutto, con una piacevole sorpresa del lettore, Vilfredo Pareto.

Gli spunti offerti da Machajski sono numerosi. Il più interessante è la definizione di socialismo come ideologia di classe dell'intellighenzia borghese. In generale, Machajski spiega che l'approdo del socialismo, come è (fra)inteso dagli intellettuali, sarà il capitalismo di Stato, nel quale una casta di burocrati predestinati manterrà il dominio sulle masse operaie. Da chi è composta questa casta? Il capitalismo sforna un numero eccessivo di intellettuali, superiore a quello richiesto dal mercato. Gli intellettuali allora contestano il mercato, mettendosi alla testa dei «più deboli», odiosa formula paternalistica spesso utilizzata dai nostri scrittori. La rivoluzione degli intellettuali, però, non ha nulla a che vedere con l'abolizione dello sfruttamento capitalista. I mezzi di produzione non interessano. Gli intellettuali preferiscono concentrarsi sul ruolo di «organizzatori» della cultura in tutte le sue declinazioni. Ed ecco nascere una nuova forma di oppressione delle masse: «il capitalismo del sapere». I «manager» sono proprio loro, gli intellettuali pseudo rivoluzionari, tecnocrati di vario genere e artisti allineati. Come va a finire? Ecco qua: «Garantire il parassitismo al ceto colto è una delle responsabilità fondamentali dello Stato contemporaneo».

Non può esistere una società senza classi e la lotta per il potere non è tra élite e popolo ma tra le élite di governo e quelle non di governo: «Con o senza suffragio universale -

scrive Pareto e Machajski potrebbe sottoscrivere - è sempre una oligarchia a governare e saper dare alla volontà del popolo l'espressione che desidera». Con l'aiuto degli indispensabili e prezzolati intellettuali di regime.

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