Cultura e Spettacoli

"Per far leggere i bimbi bisogna volare alto con un po' di paura..."

L'editore partito dal nulla è oggi al centro di un impero dove comandano i piccoli lettori

"Per far leggere i bimbi bisogna volare alto con un po' di paura..."

«Il 2018 è stato il nostro anno migliore: abbiamo avuto un giro d'affari di novantuno milioni di sterline. L'anno prossimo puntiamo a cento. Siamo la casa editrice indipendente di libri per bambini più importante della Gran Bretagna, siamo tradotti in cento lingue e abbiamo nove edizioni estere, fra cui quella italiana, dal '95 e, ora, anche cinese. In Italia, a febbraio, rispetto al 2018 siamo cresciuti del 48 per cento, anche se il mercato più in crescita è la Germania». Peter Usborne ha 82 anni. Risponde al telefono dal suo ufficio, nella sede londinese delle edizioni Usborne. Nate nel 1973, oggi pubblicano quattrocento titoli l'anno, alcuni ormai di culto: come la serie Vesto le bamboline e quella di Poppy e Sam, gli sticker, i libri-puzzle, quelli sui labirinti, i numeri, le avventure spaziali... Una azienda familiare, ancora condotta dal fondatore Peter con la figlia Nicola, oggi vicedirettore esecutivo. Lunedì primo aprile racconteranno insieme la storia della loro avventura editoriale alla Children's Book Fair di Bologna (ore 12, Sala Preludio).

Come è nata la Usborne?

«Dopo l'università fondai una rivista satirica, Private Eye. Poi trovai lavoro in una grossa casa editrice, la Bpc Publishing. Ero l'assistente del capo: per due o tre anni presi soprattutto appunti».

Poi?

«Un venerdì pomeriggio alle tre mi telefonò mia moglie: Peter, sorpresa, diventerai papà. Meraviglioso. Andai dal capo: John, posso fare qualcosa che riguardi i bambini? E lui: D'accordo, scendi di due piani, al reparto educational, e vedi che cosa fare».

Che cosa ha fatto?

«Ho inventato una serie per bambini che iniziavano a leggere: libri non fiction, brevi, abbastanza divertenti. Un successo. Diventai direttore editoriale. Dopo due anni, nel bagno degli uomini, incontrai il mio ex capo».

John.

«Mi chiese: Come va? Che cosa vorresti fare?. Gli dissi la verità. Vorrei iniziare una impresa tutta mia. E lui: Ok, ti darò i soldi per farlo. Mi prestò l'equivalente di un milione di sterline. In cambio ebbe il diritto di acquistare il 49 per cento delle azioni, nel caso l'azienda avesse avuto successo. Cosa che poi è avvenuta. È stato più di 45 anni fa, e non mi sono mai guardato indietro».

Da piccolo che cosa sognava di fare?

«Il pilota di Spitfire. Sono nato nel 1937, ho vissuto la Seconda guerra mondiale. Le nostre popstar erano i piloti di Spitfire».

Non è diventato pilota però.

«Ho preso il brevetto di volo. Per vent'anni ho volato con il mio aereo e, due anni fa, sono riuscito a volare per un'ora con uno Spitfire. Non mio, in affitto: comprarlo costa sei milioni di sterline...».

Com'è stato?

«Straordinario. Si solleva come un razzo, è potentissimo».

Ha ricevuto una formazione d'élite.

«Assolutamente. Ho frequentato le scuole private più costose d'Inghilterra: Eton, Oxford. Ho studiato i classici, greco e latino. Se mi è servito per diventare un editore per bambini? Non molto. I miei studi non hanno niente a che vedere con i miei successi».

La sua è sempre una azienda familiare?

«Sì. Siamo grandi, ma solo in relazione ai libri per bambini. Io non voglio essere grande, non è una cosa particolarmente eccitante; essere bravi lo è. E io sono molto orgoglioso di tutti i nostri libri, perché non sono solo dei successi commerciali: sono molto buoni. Li leggo uno per uno. Anche se non sono più miei: ci sono trecento persone che lavorano qui».

Chi sono?

«Cinquantacinque sono disegnatori. Li cerchiamo fra gli artisti con più talento nel mondo».

Fate tutto in casa?

«Tutto, eccetto la fiction. Ma il 90 per cento dei nostri libri è non fiction, e facciamo tutto noi».

Come nasce un libro?

«Ci sono due risposte. La prima è: con grande difficoltà. È fantasticamente dura. La seconda è: tutta la vita che giro con un taccuino in tasca. Qualunque cosa è un'idea per un libro, tutto il tempo».

E concretamente?

«Facciamo riunioni, molto faticose: dopo devo farmi un bagno, sono appiccicoso e sudato».

Che cosa succede in queste riunioni?

«Le chiamiamo title meeting. Sono tutti preoccupati. Perché io dico: se non riusciamo a pensare a 400 titoli brillanti, perdiamo il lavoro. Di sicuro conoscerà il proverbio: il bisogno aguzza l'ingegno».

Quindi il trucco è...

«Diffondo la paura, quella che, all'inizio, era solo la mia».

Non è anche divertente fare libri per bambini?

«Divertente è la parola sbagliata. Quella giusta è piacevole. Amo fare l'editore. La mia speranza è che, quando non ci sarò più, l'azienda resti ancora nostra, dei miei due figli. Mi darebbero un sacco di soldi, se vendessi, ma non ne trarrei più alcun piacere».

Riceve molte offerte?

«Sì, molte. Diciamo che negli ultimi due anni sono andato a pranzo con almeno quindici dirigenti delle più grandi case editrici. Prima che arrivi la portata principale, la risposta è già: No. Il fatto è che nell'editoria tutti vogliono i libri per bambini».

Perché vendono così bene?

«Perché il mondo è sempre più internazionale, grazie agli aerei. E i genitori sono preoccupati del futuro dei loro figli: quindi si interessano alla loro istruzione, e che sappiano l'inglese. Noi non siamo stati toccati dall'elettronica: i libri per bambini vanno sempre meglio. E sono fatti sempre meglio».

Quando un libro è «buono»?

«Quando un bambino lo vuole. Deve essere voluto: i colori luminosi, i disegni con un loro stile, l'umorismo. Deve dirti: Guardami, sono speciale. Devi volerlo prendere dallo scaffale. Se devi spiegare perché è da comprare, hai già fallito».

Quanto impiegate a creare un libro?

«In media nove mesi, come un bebè. Ma anche un anno o perfino due, se la grafica è complessa. Servono moltissimi soldi...»

Quanti?

«Non ho mai fatto un calcolo preciso ma, diciamo, fra i 50 e centomila euro a libro. Io voglio che i nostri libri siano buoni come il gelato, come la cioccolata».

J.K. Rowling è inglese, come lei.

«Una donna meravigliosa. Ha fatto più lei per l'editoria che chiunque altro: grazie a lei, leggere non è più qualcosa di imbarazzante, leggere è diventato cool, è alla moda».

L'Inghilterra di oggi è il cuore dell'editoria per bambini?

«Si sbaglia. L'Inghilterra è il quartier generale dell'editoria per bambini dalla metà dell'Ottocento, da Alice nel Paese delle meraviglie. Se mi chiede perché, non lo so, ma è così. Li facciamo bene».

Che cosa?

«Gli imperi, e i libri».

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