Le cose più preziose, come i diamanti o l'oro o il petrolio - sono spesso nascoste: occorre scavare a fondo per trovarle. Ecco perché per trovare la Bellezza, la più preziosa di tutte, serviva un geologo.
Né intellettuale, né umanista, né editore fino a un terzo della vita, Franco Maria Ricci (1937-2020), laurea in geologia all'Università degli Studi di Parma, lavorò per qualche tempo per «Gulf Oil» in Turchia, antica Mesopotamia, zona di Diyarbakir, frutto della civiltà ittita e ultimo avamposto dei romani: terre in cui dovette dare ragione a Jorge Luis Borges quando diceva che il più grande labirinto è il deserto, e da cui tornò - primi anni Sessanta, epoca di boom economico e grafica rivoluzionaria - con una idea precisa. Costruire sogni. Ma di lusso.
E così Franco Maria Ricci - chiedendo ai genitori una macchina da stampa offset al posto della Ferrari e mettendo sul tavolo gusto personale, educazione estetica, fantasia e soldi, tanti - divenne graphic designer, editore, collezionista d'arte, appassionato bibliofilo, costruttore di labirinti... La strada della bellezza è lastricata di buone passioni.
Fiero, Magnetico, Ricercato. In una sigla, «FMR».
Gardenia rossa all'occhiello come vezzo (ma forse erano rose di bachelite...) e pagine nere come simbolo della maison, FMR ha inventato un modo diverso di fare i libri, un'ossessione per i collezionisti e un marchio del lusso, come quelli della moda o del design. Non a caso, tutte eccellenze italiane.
Italiano fino alla stoffa dei suoi blazer, neoclassico - che è solo un modo di guardare al futuro ripensando il passato - parmense, ma discendente da una nobile famiglia genovese, Franco Maria Ricci s'innamorò del carattere più italiano dell'intera storia dell'estetica italiana. Folgorato dall'incontro con l'opera di Giambattista Bodoni (1740-1813), il più importante disegnatore di caratteri tipografici dell'intera editoria, Ricci iniziò la sua carriera con una ristampa anastatica del Manuale Tipografico, introvabile anche in antiquariato, in tre volumi tirati in 1500 esemplari numerati, su carta di Fabriano e rilegati in pelle nera. Doveva essere un fallimento, fu il trionfo. Da lì, nel 1965 nasce la casa editrice. Seguiranno imprese monumentali come la stampa della grande Encyclopédie de Diderot et d'Alembert, e altre effimere, ma non meno belle, anzi; collane iconiche di volumi d'arte, poi nel 1977 la «Biblioteca di Babele» diretta da Borges, edita in italiano, francese e inglese; e libri assoluti. Copertine nere, rilegatura in tela, titoli in oro, carattere bodoniano e autori rari. Nel 1982 Franco Maria Ricci - amico di Roger Caillois, William Saroyan, Italo Calvino, Roland Barthes - insieme con alcuni collaboratori come Vittorio Sgarbi e Giovanni Mariotti dà vita alla rivista d'arte che segnerà il più grande successo della casa editrice: FMR, oggetto di culto bibliofilo e estatiche letture, venduta in tutto il mondo, ricercata, stampata in quattro differenti edizioni, italiana, inglese, francese, spagnola. Jacqueline Kennedy la definì «la rivista più bella del mondo». Federico Fellini «la perla nera». Illustrazioni le più belle e firme le migliori, fu pubblicata fino al 2004, poi il marchio fu venduto, quindi riacquistato dagli eredi di Ricci due anni fa. E così la rivista è tornata, l'inverno scorso, sotto la direzione del nipote e erede intellettuale: Edoardo Pepino. Che sta già impaginando il secondo numero della nuova serie...
E lui? Franco Maria Ricci? È morto nel settembre 2020, dopo aver sognato, disegnato, costruito e inaugurato il labirinto più grande del mondo - dopo il deserto - in mezzo alla campagna di Fontanellato, nella tenuta degli avi, realizzato con diversi tipi di bambù. Pianta timida e mistica. Gli assomigliava. Ma di lui resta tanto altro. I suoi libri inimitabili, la sua collezione d'arte che spazia dal neoclassico al naïf - Vanitas, ex voto, Antonio Ligabue e Ghizzardi, Déco e sculture crisoelefantine - la sua pelliccia di marmotta, le Sante Messe seguite in latino, la Jaguar E-Type (quella di Diabolik), il suo culto per l'arte, la Tradizione, l'artigianato e sopratutto per il mondo industriale, che lo spingeva a dire - anche se lo portavano a mangiare i migliori tortelli all'erbetta caserecci in una trattoria di Traversetolo, sopra Parma - «Buoni. Ma sono meglio quelli di Giovanni Rana». Si chiama classe.
Sopratutto però FMR - goloso di Bodoni, biscotti e bambù - ci ha lasciato qualcosa che durerà persino più del suo labirinto e dei suoi libri. Ed è una idea diversa del libro. Ossessionato dalla perfezione dei dettagli e incantato dalla Bellezza in ogni suo forma, ma attentissimo alle esigenze del lettore, Franco Maria Ricci ha realizzato il suo capolavoro facendo percepire al grande pubblico la bellezza, l'eleganza e la qualità del libro diffuso in tante copie. Ha fatto capire che il libro può e deve essere prima di tutto un oggetto che sta al pari dei vasi, dei pezzi di design o d'antiquariato che mettiamo con orgoglio nelle nostre case, scegliendoli a uno a uno. E ci ha insegnato che il libro è un oggetto nobile, e che nessuno strumento - né i dipinti, né il computer né l'iPhone - è stato mai utilizzato nel corso dei secoli, al pari del libro, come deposito naturale del sapere, della conoscenza e delle passioni dell'Uomo. Il libro «teca della civiltà».
E poi, certo. C'è un'altra cosa. Onorato e ricordato come editore, Franco Maria Ricci in realtà fu anche - peccato non lo si citi mai - un elegante scrittore. Come si fa a dirlo? Leggendolo. E l'occasione ce la offre, con una ricercatezza degna dei tempi d'oro, e nero, della FMR, la casa editrice di Vincenzo Campo: la milanese Henry Beyle. Che pubblica - in uscita fra pochi giorni, il tempo di finire di applicare a mano i disegni, a uno a uno - una magnifica raccolta di elzeviri (Farfalle agli antipodi, pagg. 120, euro 30) scelti con grande gusto e intelligenza da Stefano Salis fra i centinaia di articoli «introduttivi» che Franco Maria Ricci firmò per la sua rivista FMR fra il 1982 e il 2002. Bene: nella biografia intellettuale del grande editore parmense, oggi bisogna aggiungere l'alta qualità della scrittura. Obliquo, ironico, leggero, Ricci parla del Tempo e degli orologi (una merce di cui la Cina, quando li portarono i gesuiti italiani, non sentiva il bisogno), di letteratura fantastica (di cui la teologia è solo un ramo, diceva Borges), di antiche leggende orientali, della più bella Miss degli Stati Uniti (la Statua della Libertà) e sacri consigli («Sarà una deformazione professionale; ma ho sempre sospettato che se si vuole avere un bel libro bisogna farselo da soli»). E, sopratutto, appunto, parla (è inevitabile) di quella «nobile cosa» che per lui sono i libri. Sui quali, già nel numero del giugno 1987, ha un'intuizione folgorante, ribaltando completamente, e chiudendolo, 35 anni fa, il dibattito che ci ammorba da troppo tempo sul rapporto carta-digitale. Il libro, ci dice FMR, non sarà battuto dal computer. Ma grazie al computer il libro si dimostrerà ancora più insostituibile.
«Siamo tutti gente del Libro, o ahl al-Kitab. Magari fra un po' saremo tutti ahl al-computer. È possibile che, diventando meno quotidiano e ubiquo, il libro ci appai allora anche più prezioso».
E così sarà.
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