Finalmente una mostra celebra Paisiello

Lamenta Paolo Isotta che «in quest'anno bicentenario della morte di uno dei più grandi musicisti italiani», Giovanni Paisiello (1740-1816), «non ho visto alcun contributo critico che mostrasse quanto vecchia e falsa e riduttiva l'immagine di Paisiello tradizionale e tramandata dal Della Corte con effetto peiorativo sia.» L'estroso «Schizzo» biografico-critico del «Tarentino», condotto da Isotta sul filo della memoria esecutiva, apre il catalogo della mostra (al Memus fino al 31 dicembre) che il Teatro San Carlo presenta nell'occasione celebrativa, accompagnando la prima ripresa moderna dell'opera Zenobia in Palmira (appena andata in scena). Azione benemerita che ricorda alcuni degli spartiti più singolari di Paisiello, a partire dagli splendidi allestimenti che Roberto De Simone ha ideato con il supporto grafico-favolistico di Lele Luzzati (L'idolo cinese, allestito nel 1992), e l'alta civiltà architettonica di Nicola Rubertelli (Il Socrate immaginario, 2005 e L'osteria di Marechiaro, 2011). De Simone-scrittore, intorno a queste due opere, evoca una Napoli teatralissima e satirica, spettrale e vitalissima, specchio di una cultura partenopea ampia e stratificata, lontana dalla «bonaria napoletanità di facile esportazione, di generale consenso, di commestibili contenuti.

» E guizzante comicità, come l'aneddoto del vecchio copista, il quale «rimproverato dal Paisiello per la sua sciatteria, sbottò a dire: - Ahimé, una volta sì che si lavorava con maestri coi coglioni! - E che ci vuoi fare? - rispose Paisiello - Una volta c'erano maestri coi coglioni, e mo' ci so' rimasti li coglioni senza maestri».

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