Intanto Ultimo va alla velocità della luce. Tre album in due anni, un Festival di Sanremo al primo posto (tra i giovani nel 2018) e uno al secondo (nel 2019), una quantità esponenziale di streaming e di biglietti venduti (trecentomila, mica bruscolini). Ventitre anni, nato e cresciuto nel problematico quartiere San Basilio di Roma, un broncio che quasi sempre gli incrina il sorriso. Ora, come Forrest Gump, è «un po' stanchino». Ma, come ogni artista nel pieno della creatività, «è una stanchezza che mi fa stare bene». Certo, dopo la conferenza stampa finale di un Sanremo perso per «colpa» delle giurie, si sentiva meno bene: «Ho sbroccato», ammette mentre parla del nuovo disco Colpa delle favole, che esce il 5 aprile ed è in pratica il terzo capitolo di una stessa storia, la sua: «In effetti, è come se fosse lo stesso romanzo», dice.
In che senso?
«Nel senso che il primo disco Pianeti raccontava i miei desideri di pancia, la voglia di successo e conferme. Il secondo, Peter Pan, il loro raggiungimento. E questo Colpa delle favole la consapevolezza che non mi rendono felice come avrei pensato».
Una favola senza lieto fine.
«Certo che ce l'ha. Ma parlo di quella consapevolezza che si può raggiungere soltanto dopo aver toccato con mano».
Ad esempio?
«Ad esempio il successo è diverso da quello che uno si può immaginare ed è sicuramente un'altra cosa rispetto a quello che si aveva fino a pochi anni fa. Ora non puoi staccare, sei sempre sotto il riflettori, è come se stessi sul palco 24 ore al giorno. Per molti è accettabile, per me molto meno».
Qualcuno si trasferisce all'estero oppure trascorre sei mesi all'anno dall'altra parte del mondo.
«Io non riesco, ho bisogno dei miei luoghi, dei miei amici, delle abitudini costruite nel tempo».
Ha bisogno dell'«Aperitivo grezzo», come dal titolo di un brano.
«Con i miei amici abbiamo una chat che si intitola proprio così, Aperitivo grezzo, perché ci ritroviamo insieme e ci strafoghiamo. Ho usato questa espressione per descrivere un po' il mio mondo e le mie abitudini».
Dopo aver «sbroccato» a Sanremo, sono arrivate tante critiche.
«Mi hanno dato del fascista e del razzista. A me, a uno che viene da una realtà multietnica come la mia...».
Il suo sfogo era stato irrituale.
«In Italia funziona così: se dici sempre le stesse cose, sei impostato e freddo dicono che sei noioso come un calciatore nelle interviste del dopo partita. Ma se sei te stesso, e quindi autentico, ti criticano comunque».
Per non parlare dei flussi social e delle fake news.
«Se qualcuno scrivesse, per esempio, che brucio la monnezza per strada probabilmente le smentite non servirebbero a nulla perché a tanti non interessa verificare. Si vuole etichettare tutto comunque. E non si capisce che la libertà non è anarchia, ci devono per forza essere dei limiti».
Anche questa saggezza è irrituale in un ventenne. Quando ha scritto la prima canzone?
«A quattordici anni e l'ho messa in questo disco. Si intitola Piccola stella. Avrei potuto modificarla ma non l'ho fatto perché voglio ricordarmi la spontaneità di quei momenti».
A Sanremo ha anche incontrato Antonello Venditti.
«Lo cercavo da un po'. Gli ho chiesto di partecipare al video di Fateme cantà, che abbiamo girato anche nel ristorante del'ultima cena di Pasolini, Il biondo Tevere. Lui mi ha detto di sì e poi mi ha chiesto: Ma chi mi accompagna là. Pur di averlo, avrei fatto anche il suo autista». (sorride - ndr)
Esce il disco ma non c'è il solito giro di «in store» per presentarlo e vendere copie in giro per l'Italia.
«Una mia scelta. So che se facessi gli in store, venderei molte più copie subito. Ma non voglio costringere i miei fan a comprarsi il mio disco per farsi un selfie con me. Così ho deciso di concentrarmi soltanto sui prossimi concerti».
Dal 25 aprile. E sono tutti esauriti.
«Se pensa che il 19 gennaio 2018 ho fatto il mio primo concerto in assoluto, al Santeria Social Club di Milano».
E il 4 luglio chiuderà la tournèe addirittura all'Olimpico di Roma.
«Perciò mi voglio concentrare bene. Sono arrivato nella favola, la voglio cantare meglio che posso».
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