"Il libro non morirà. È il grande sopravvissuto della nostra Storia"

In "Papyrus" la filologa racconta le avventure (pericolose) dei volumi dall'antichità a oggi

"Il libro non morirà. È il grande sopravvissuto della nostra Storia"

Papyrus di Irene Vallejo è un po' la prova di ciò che racconta, ovvero, come spiega il sottotitolo del saggio (Bompiani, pagg. 566, euro 24), «La grande avventura del libro nel mondo antico»: una avventura fatta di peripezie, invenzioni, distruzioni, cura maniacale e incredibile passione, tanto che la filologa e scrittrice di Saragozza definisce i libri «grandi sopravvissuti attraverso i millenni». Per dire, i libri sono passati attraverso la pandemia con un inedito successo di vendite (+ 26,7 per cento nei primi tre mesi del 2021); e lo stesso Papyrus è stato un bestseller in Spagna, in via di traduzione in 33 lingue.

Come è nato Papyrus?

«Il primo germoglio è nato a Firenze, quando ero alla Biblioteca Riccardiana, grazie a una borsa di dottorato. Studiavo l'origine dei libri e gli inizi della lettura nel mondo antico e mi ha colpito l'idea di quanto fosse difficile e impegnativo creare uno di quei manoscritti, quanto amore e fatica ci siano in essi».

I libri sono a rischio?

«Il settore è incline a profezie apocalittiche, ma io volevo alzare una voce ottimista: la storia dei libri dimostra che sono dei grandi sopravvissuti attraverso i millenni, che hanno superato epoche e situazioni difficili, saccheggi, crolli di imperi, guerre, persecuzioni, incendi, inondazioni... Credo che i libri abbiano una cattiva salute di ferro, come certi malati».

Il libro non morirà?

«La sua morte è stata predetta così tante volte che credo abbia imparato a resuscitare meglio di chiunque altro».

Chi sono i cacciatori di libri da cui parte Papyrus?

«Erano emissari, inviati dai Tolomei, i re d'Egitto, nel III secolo a.C. verso la Grecia, lungo pericolose vie di terra e di mare, alla ricerca di libri e opere per alimentare la grande Biblioteca di Alessandria. Una avventura rischiosa, ma allora non c'era il commercio internazionale di libri. Una storia stupefacente e simbolica».

Che cosa rappresenta?

«Questi soldati per me sono la metafora del valore dei libri in un mondo in cui erano così scarsi che un sovrano poteva fare di essi il suo oscuro oggetto del desiderio. E poi sono il simbolo della lunga strada che abbiamo dovuto percorrere, da un passato in cui leggere era un privilegio, fino ai giorni nostri, in cui i libri sono oggetti quotidiani, facili da reperire. Anche grazie alle biblioteche».

E torniamo ad Alessandria.

«È il luogo dove, per la prima volta, nasce il sogno di raccogliere tutti i libri del mondo, il progetto folle e meraviglioso di concentrare in un edificio la totalità della saggezza allora conosciuta e di metterla a disposizione di ogni mente curiosa. E poi c'è un'altra cosa».

Quale?

«Ad Alessandria raccolsero le opere più importanti di egizi, persiani e indiani e le tradussero in greco, dando il via a un dialogo fra lingue e culture che non si è mai più zittito. Una eredità preziosa».

Oggi viene pubblicato un libro ogni mezzo minuto. Anche gli antichi erano così sommersi?

«Non come oggi, quando in casa possiamo avere più volumi di quelli di una abbazia medievale; ma già Seneca, a Roma, esprimeva l'idea che ci fossero troppi libri, più di quanti si potessero leggere».

E ad Alessandria?

«Gli studiosi della Biblioteca producevano tonnellate di volumi, studi, commentarii... Uno di loro, Didimo, arrivò a pubblicare quattromila monografie. Ad Alessandria accade, per la prima volta, che la bibliografia sulla letteratura riempia più libri della letteratura stessa».

Si voleva creare una biblioteca-labirinto?

«La prima finalità era salvare e proteggere i libri che amavano, i più preziosi, perché erano fragili: ogni anno si perdeva l'ultimo esemplare di un'opera».

E questo ci porta al materiale, il papiro.

«Il papiro fu una novità sensazionale rispetto alle tavolette in argilla della Mesopotamia e alle scritte su pietra: era sottile, leggero, flessibile e, una volta arrotolato, anche un grosso testo poteva occupare poco spazio. La storia dei libri è la storia delle lotte per ottenere un supporto fisico migliore».

Era costoso?

«Sì. I libri erano oggetti per un publico privilegiato: non c'era un vero commercio, bisognava poter viaggiare e avere degli schiavi che ne facessero una copia... Cicerone ne aveva una ventina. A Roma i libri circolavano principalmente in ambienti chiusi ed esclusivi, anche se ci sono stati più lettori nei territori dominati da Roma che in qualunque momento precedente, e fino alla modernità».

Quando compaiono i primi librai?

«In Grecia esisteva un commercio di libri, ma i dati sono pochissimi. Nel mondo romano Catullo, Orazio e Marziale parlano dei librai, descrivono le botteghe che facevano copie su ordinazione, anche rapidamente - Marziale dice che per i suoi Epigrammi bisognava aspettare solo un'ora - e Catullo parla di testi già pronti da comprare. Marziale indica anche dove trovare le sue opere...».

Gli scrittori sono sempre stati un po' poveri...

«Sì, perché non esisteva nulla di simile al copyright. Ed era considerato poco decoroso, per le persone perbene, guadagnarsi da vivere con la scrittura».

Il papiro è stato rivoluzionario, ma poi?

«L'umidità del clima, in Europa, lo scuriva e lo rendeva fragile. E poi era fabbricato solo in Egitto. Si dice che una volta Tolomeo V sospese le forniture al regno di Pergamo, per mettere in ginocchio la biblioteca rivale; ma a Pergamo risposero perfezionando l'antica tecnica orientale della scrittura su cuoio».

E nacque la pergamena.

«Fogli morbidi, sottili, più duraturi e meno costosi, e che permettevano la scrittura su entrambi i lati. Si afferma così il modello fatto di pagine. E il libro tascabile, più facile da nascondere, spinge a letture clandestine».

Le epoche più pericolose e le più propizie per i libri?

«L'era più pericolosa si è conclusa quando la carta si è diffusa in Europa in tempo per alimentare le macchine da stampa che hanno rivoluzionato la cultura occidentale. Da allora, la moltiplicazione delle copie è diventata sempre più routinaria ed economica. Abbiamo dimenticato i millenni in cui una poesia o una commedia potevano sopravvivere solo finché qualcuno era disposto a copiarle a mano: lettera per lettera, parola per parola».

Che cosa abbiamo perso?

«Gli studiosi stimano che possiamo leggere l'1% della letteratura greco-romana. Eppure questa percentuale minima, salvata consapevolmente dai bibliotecari di Alessandria, costituisce il quadro simbolico che configura il nostro modo di intendere il mondo, di leggere la realtà, di ordinare il caos della storia e le innumerevoli vite che viviamo. Questa piccola raccolta di parole sopravvissute è il nostro genoma culturale: la storia di chi siamo».

Il libro continuerà a essere di carta?

«I libri sono sopravvissuti per millenni perché hanno saputo cambiare e adattarsi ai tempi. Ci sono stati libri fatti di papiro, di pergamena, di carta e, ora, anche di luce.

Non si tratta di una corsa per la vittoria tra digitale e cartaceo, bensì di garantire la sopravvivenza delle nostre idee e narrazioni migliori: per questo credo che il libro tradizionale continuerà a vivere insieme ai suoi giovani compagni, gli schermi».

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