La madre, la figlia, il trono. I destini delle "due Marie"

Alessandra Necci racconta al di là dei cliché le figure di Maria Teresa e Maria Antonietta

La madre, la figlia, il trono. I destini delle "due Marie"

Una madre e una figlia le cui scelte hanno condizionato tutto il secolo dei lumi. Due vite intrecciate, e per molti versi con parabole simili, che daranno adito a esiti ben diversi, a due miti, uno impregnato di rigore e calcolo politico, l'altro carico di mondanità e leggerezza che precipitano verso l'abisso della rivoluzione.

Maria Teresa d'Austria (1717-1780) e Maria Antonietta (1755-1793) da questa mitizzazione sono rimaste schiacciate, nella vulgata ne è stata ridotta la complessità per meglio farle aderire ad uno stereotipo comodo per la manualistica. I loro ritratti stilizzati, e archetipi, vengono però felicemente fatti a pezzi nel saggio biografico appena pubblicato da Alessandra Necci, La regina e l'imperatrice (Marsilio, pagg. 526, euro 22). La Necci, che ha all'attivo altri interessanti ritratti di corte come Caterina de' Medici. Un'italiana alla conquista della Francia e Re Sole e lo Scoiattolo in questo caso traccia un percorso familiare e politico ma mette in scena anche due vite parallele, in maniera plutarchersca.

Maria Teresa d'Austria arrivò al potere in un momento di massima fragilità per la compagine di Stati separati governata dagli Asburgo. Per garantire il trono, anzi i troni, suo padre, Carlo VI, aveva dovuto emanare la Prammatica Sanzione del 1713, aprendo così la successione anche in linea femminile. Solo in virtù di questa Maria Teresa si vide riconoscere, nel 1740, il titolo di Arciduchessa sovrana d'Austria, Regina apostolica d'Ungheria e Regina di Boemia. Ma le casse degli Asburgo erano vuote, lei non era stata addestrata a regnare, e la Prussia in primis, e a seguire molti altri Stati tedeschi, non riconobbero la sua eredità come legittima. Il suo regno iniziò con la guerra di successione austriaca, di cui all'inizio nessuno l'avrebbe data per vincente. Eppure... Riuscì a conquistare la nobiltà ungherese e a farla mobilitare in massa in suo favore. Portò avanti un enorme numero di riforme, riuscì prima a blandire i vecchi funzionari del padre, poi a sostituirli con uomini di sua fiducia. Come? Studiando moltissimo, ma affiancando lo studio con una grandissima capacità teatrale. I suoi popoli volevano una regina guerriera? Gliela fornì, a cavallo e con la spada in mano. Dopo la guerra serviva una regina madre benevola? Fornì anche quella, assieme a sedici figli, utilissimi per le politiche di alleanza dinastica che andavano assolutamente ricostruite.

Anche i suoi colpi di testa, come l'ostinazione con cui volle a tutti i costi sposare Francesco I di Lorena, risultarono sempre vincenti. Il consorte, sessualmente un po' fedifrago, si rivelò politicamente devoto e una stampella insostituibile al suo potere regale. Ma attorno a questo nucleo adamantino c'era nell'unica donna che sia diventata sovrana d'Austria e Ungheria anche una vena sotterranea che poteva essere sia ribelle che feroce. Da giovane amava fuggire travestita dalla corte e darsi ai divertimenti in maschera, conosceva l'arte del fascino e del muoversi alle feste, la usava con destrezza. Da sovrana sentì la necessità di coprire Vienna di una moralità di facciata che costava frustate alle adultere, che poteva trasformarsi anche in una ingiustificata cacciata degli ebrei. Il tutto accompagnato da una ferrea volontà di sacrificare la felicità dei figli alla politica delle alleanze, figli di cui alla fine non si fidò mai del tutto. Amore e ordini severi, crisi di depressione ed improvvisi slanci di super lavoro e di saggia amministrazione, questo il lato invisibile della regina perfetta amata dai lumi.

Ben spiega la Necci come molto di questo si trovi riflesso in Maria Antonietta che, in teoria, aveva iniziato il suo regno con tutti gli appoggi possibili. Il suo matrimonio avrebbe dovuto essere il capolavoro diplomatico di Vienna. La giovane regina mostrò fascino, lanciò mode, inventò un paradiso bucolico come il Petit Trianon, diede prova anche di una spiccata propensione a soccorrere i poveri... Ma non capì mai di essere al centro di una bolla sociale che stava per esplodere. Già i festeggiamenti per il suo matrimonio crearono debiti che rimasero impagati sino alla Rivoluzione. Non si fece amare davvero nemmeno dalla corte, dove i suoi inizi coincisero con uno scontro senza senso con l'amante di Luigi XV, la contessa du Barry, e con la freddezza sessuale di Luigi XVI, che preferiva le pietanze al talamo nuziale. E a nulla servirono le continue lettere della madre e anche del fratello, l'imperatore, Giuseppe II che già da piccola la chiamava tête à vent. Maria Antonietta fidò in se stessa e sbagliò. Divenne «L'Autrichienne», la straniera sin troppo facile da incolpare delle magagne di un sistema di corte marcio alla radice ben prima che la ragazzina austriaca ne diventasse il centro. Cercò, impavida, di giocare di rincorsa, dopo che la situazione precipitò nel 1789. Da lì in poi emergono tutte le qualità che furono anche di Maria Teresa. Ma era tardi. E soprattutto per i francesi la Francia era ormai solo e soltanto la Francia, per Maria Antonietta la Francia era la monarchia. Al suo crudele processo condotto vigliaccamente, utilizzando anche testimonianze deliranti come quella di Jacques-René Hébert, non riuscirono a provare in nessun modo che avesse complottato con potenze straniere contro la Repubblica. In realtà lo fece. Per i suoi figli, e per difendere un mondo che non esisteva più. Stanca, malata, sfiorita, affrontò la prigionia e il viaggio sulla carretta infame che portava alla ghigliottina con una freddezza quasi leggiadra. Fu, con le mani legate, regale quanto lo fu sua madre nell'assumere il trono d'Ungheria, a cavallo e con la spada in mano. Il secolo la consumò ma non la spezzò. Ora nel libro della Necci ritorna, e si specchia nella genitrice.

Così simili nel testardo coraggio, diverse nella scaltrezza politica, agli antipodi nella fortuna. Entrambe da guardare più da vicino, levando il belletto che la storia ha impastato sul volto di entrambe. Non fa loro giustizia.

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