Marco Vallora, sacerdote dell'arte

Era più di un critico: curioso e instancabile, voleva capire davvero

Marco Vallora, sacerdote dell'arte

E, a un certo punto, uno se ne va, all'improvviso, senza avvisare nessuno, e porta via con sé tutto quello che ha visto, tutto quello che ha letto, e non ha finito di raccontarlo. E fino al giorno prima aveva continuato ad accumulare paesaggi, visti dal treno, e immagini dipinte, in un sogno senza fine, e libri, preziosi libri, prolungamento dei pensieri, tutti necessari, memorie di viaggi compulsivi, perché non guidava la macchina, su pullman, treni, aerei, per non perdere una mostra, anche arrivando l'ultimo giorno, sempre atteso e desiderato. Ed eccolo fragile, discreto, gentile; ma con una febbre che lo spinge ad andare, anche scomodamente, ma per vedere, per capire, per conoscere. Eravamo più che amici, da anni, per affinità, per stima, per amicizie. E, rimasti i soli, dopo la morte di tutti (Luigi Carluccio, Roberto Tassi, Giorgio Soavi, Tiziano Forni), ad amare gli artisti, ad amare la pittura. Marco Vallora ha trasferito nell'arte la sua sfera affettiva.

E lo dice la sua pagina che ha un solo modello narrativo, e forse con maggiore consapevolezza teorica; quello fervido e appassionato, ma anche morale di Giovanni Testori. In Vallora parla il poeta, e dà voce ad artisti silenti, solitari. Penso, tra i tanti, a Jean Pierre Velly, scomparso nel fondale profondo del lago di Bracciano. Dal mondo degli inferi egli ci parla con chi ne ha incrociato lo sguardo, sentendolo parte di sé. Vive nelle parole, fatte sue, di Vallora. Dopo i grandi dell'amato Novecento, con molti artisti, tutti condivisi con me, Marco lo ha fatto. È impressionante trovarne riscontro dopo cinquant'anni di lavoro controcorrente, io, più di lui, incriminato per non amare l'arte contemporanea. Eppure leggete di quanti abbiamo scritto con animo concorde, mettendo il nostro orecchio sul loro cuore: Ferroni, Clerici, Carol Rama, Guccione, Gnoli, Mattioli, Congdon, Afro, Marca-Relli, Vallorz, Vignozzi, Pericoli, Giancarlo Vitali, Forgioli, Music, Ruggeri, Francese, Zigaina, Armodio, Zavattini, Giancarlo Vitali, Velasco, Papetti, Pignatelli, La Casella, La Cognata, Frangi, Martinelli, Guida, Misetta Bozzini.

L'atto critico di Vallora è sentimentale, affettivo, direi amoroso, e non senza ragione, ovvero non senza argomenti storici e razionali.

Per Vallora l'arte, come la fotografia, come il cinema, come la musica, come il teatro, era un sacerdozio. E ogni giorno aveva la sua messa, che era un viaggio per vedere e per capire. L'ultimo suo viaggio è stato su un treno per Alba. In una notte triste, più per noi che per lui.

Sembra averlo accompagnato un giovane critico, dalla travagliata esistenza, Alessandro Riva, che ha voluto affidar di getto le sue idee a un messaggio privato nel quale, però, esce tutta l'anima di Vallora, la sua inquietudine, il suo vagabondare. «Con la sua brava valigia. Arrivava sempre ultimo a una cena, a un dopo mostra, a un'inaugurazione. Sul tardi, con la sua brava valigia. Da dove arrivava, da che treno scendeva? Di chi aveva scritto in quel breve tragitto, che libri aveva nella sua grossa borsa? Non era dato saperlo. Arrivava. Con la sua aria un po' stanca, già quasi sfinita, un po' affranta, delicata ma di dura corteccia, sotto sotto testarda. Cortese, anticamente cortese (da bravo torinese), sorrideva, pacato, persino sornione, come avesse già tutto visto, letto, capito, studiato. Soprattutto studiato. Sì, capiva sempre, capiva nel fondo del fondo, ed erano connessioni, legami, rimandi. Lucidissimo e ferreo nel giudicare una mostra (...) Poi ripartiva, con la sua brava valigia. Per chissà quale altra mostra o chissà quale stazione».

Ora si è fermato nell'ultima stazione desolata.

Marco, noi continueremo a vedere per te.

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