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Meglio aprire un libro o leggere una borsa? L'estate degli editori ci mette nel sacco

Lo scopo è il solito: incoraggiare alla lettura. Che però non è un accessorio

Meglio aprire un libro o leggere una borsa? L'estate degli editori ci mette nel sacco

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Siete per caso alla ricerca di uno zaino, per esempio «uno zaino monocinghia con cintura a bottone e tasca interna con cerniera, il policotton, con fibbie di metallo, spallacci regolabili, fodera interna e schienale imbottitto»? Non andate in un negozio di zaini e borse, basta comprare tre libri Einaudi e l'Einaudi ve lo regala. È molto spartano, come zaino, colore verde o beige, piccolo, stile Mauro Corona se Mauro Corona fosse un nano, non si sa bene a cosa vi potrà servire, comunque i tre libri c'entrano. Se lo volete comprate tre libri Einaudi, magari non Desiati o la Murgia o Piccolo, magari Bernhard, tipo Gelo o Correzioni. Che però a pensarci no, Bernhard non potete, l'Einaudi li ha messi fuori catalogo dopo neppure un anno dall'uscita (a proposito, qualcuno li può ripubblicare? Adelphi?). Sennò ci sono offerte migliori.

Invece la Feltrinelli ha puntato sul «borsone dell'estate», cioè la classica borsa moscia a tracolla che ti regalano se compri tre libri Garzanti della collana Elefanti. È una scelta saggia, almeno non hanno messo libri Feltrinelli, se compri tre librini di Erri De Luca insomma non te la danno, un piccolo passo per un uomo, un grande passo per la Feltrinelli. Negli «Elefanti» trovate Pasolini, o Capote, tuttavia anche Federica Bosco, ditemi voi se è un elefante. Sulla borsa c'è scritto «Io leggo», che di per sé non significa niente, dipende da cosa leggi, non è che leggere è sempre una bella cosa. Se le vedete in spiaggia siete autorizzati da me a ispezionare le borse, per vedere cosa ci hanno messo dentro, potete dire con tono autoritario «ispezione parentale». Se ci trovate creme solari non fate nessuna multa, sempre meglio di Federica Bosco.

L'idea di base di tutte queste iniziative borsettistiche è quella di incoraggiare alla lettura, e penso che queste borse, con il tempo, diventeranno sempre più belle e desiderabili e accessoriate, nel senso che vorrai comprare la borsa e ti regaleranno i libri. Oppure per farti comprare dei libri ti regaleranno non solo una borsa ma anche una batteria di pentole, un materasso, dieci confezioni di carta igienica formato famiglia, un set di spazzolini da denti con sul manico la firma di Marcel Proust. Tanto ho capito benissimo che in Italia chi non legge non legge, e chi legge, legge i libri sbagliati. Si ritorna all'«io leggo», ok, ma cosa? Arbasino diceva: «Quello è uno molto intelligente, ha letto tutti i libri giusti!». Le più desiderabili, al momento, bisogna ammettere, sono quelle Adelphi, sia perché Adelphi è la più chic qualsiasi cosa pubblichi (un esempio tra tutti: nel 1958 uscì Zia mame di Patrick Dennis per Bompiani e era un romanzo commerciale come tanti, nel 2009 lo pubblica Adelphi e diventa un capolavoro di cui non puoi dire male), sia perché sopra ci hanno messo un grande autore. Sempre il modello borsa moscia da portare a spalla con bellissimi disegni di Tullio Pericoli con, a vostra scelta, Simenon, Sciascia, Jackson, Kundera o Borges, comprando due libri. Io ho comprato due copie de Pensieri della mosca con la testa storta di Giorgio Vallortigara, ce l'ho già, ma li regalerò a persone con la testa storta sperando che leggendo gli si raddrizzi. Quanto alla borsa, ovviamente ho scelto quella di Thomas Bernhard, anche se non so cosa ci farò, non uso borse e non esco mai di casa, magari la metto sotto vetro e la appendo come un quadro, è bella e tra duecento anni varrà qualcosa, è un investimento. Manca Arbasino, peccato, sennò compravo quattro mosche per avere due borse.

Mondadori invece ti regala la totebag (non ho capito perché si chiami così) ispirata a Il gabbiano Jonathan Livingston, va da sé se compri almeno due libri. Sulla borsa c'è un disegno stile giapponese di un'onda o un cielo (o una tempesta) con la sagoma di un gabbiano, Jonathan Livingston. Questa può veramente servire. Tipo l'altro giorno a Roma, che è piena di gabbiani, vicino a piazza Venezia ho visto un gabbiano decapitare un piccione e ingoiarsi la testa, mentre il corpo del piccione è rimasto a muoversi senza testa per un po'. Delle turiste inglesi sedute al bar hanno assistito alla scena e hanno urlato orripilate «Oh my God!», e io gli ho detto: «Don't worry, he is Jonathan Livingston!». Ecco cosa succede a mitizzare i gabbiani.

Peccato non avessi dietro la borsa della Mondadori con il gabbiano Jonathan Livingston per metterci dentro il corpo senza testa del piccione morto.

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