In Più donne che uomini di Ivy Compton-Burnett (1884-1969) ci sono, in effetti, più signore e signorine che maschi. Ma anche questi ultimi, seppur pochi, sono spassosi. Jonathan, omosessuale attempato con un figlio, che ha dato in adozione alla sorella Josephine; Felix, il suo protetto, pigro erede di un baronetto; Gabriel, il figlio di Jonathan, un burattino (fino a un certo punto) nelle mani della zia. Perché più donna, e più uomo, di tutti quanti è appunto Josephine, direttrice di una scuola per ragazze inglese dei primi del '900, che tira le fila dei destini di tutti, imbecca, raddrizza, consola, punzecchia, controlla, si picca... Avrebbe anche un marito, Simon, conteso da anni con l'amica/rivale Elizabeth; ma a un certo punto l'ometto cade da una scala, e muore, «con la stessa discrezione con cui era vissuto». L'animo di Ivy Compton-Burnett è tutto nei dialoghi: è attraverso una serie di battute fulminanti e perfide che si realizza la trama, botta e risposta continui in cui la vincente è sempre Josephine, una vittoriana di ferro che rivela lati ironici da Oscar Wilde. Come l'autrice, del resto: adorata in Gran Bretagna («È l'amore della mia vita» ha dichiarato Hilary Mantel), apprezzata in Italia da Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli e Alberto Arbasino, ha scritto venti romanzi che raccontano i rapporti familiari più intimi, stretti e talvolta sul crinale della perversione; e l'editore Fazi ha deciso di ricominciare a pubblicarli in italiano, a mezzo secolo dalla sua morte, a partire, appunto, da Più donne che uomini (pagg. 260, euro 19).
La stessa idea ha mosso la casa editrice nel riproporre i romanzi di Elizabeth Jane Howard (1923-2014), autrice della saga bestseller dei Cazalet (portata con successo in tv) e di romanzi come Il lungo sguardo o Cambio di rotta (che diventerà a sua volta un film, diretto da Kristin Scott Thomas): irrequieta e affascinante, moglie di Kingsley Amis e matrigna di Martin, Jane Howard è una anatomista della borghesia britannica. Sono molte le autrici, soprattutto inglesi, fra Ottocento e Novecento, che vengono «riscoperte» dagli editori italiani: Rebecca West (1892-1983), amica di Virginia Woolf e George Bernard Shaw, amante di H.G. Wells, di cui Fazi sta ripubblicando la saga della Famiglia Aubrey; Elizabeth Von Arnim (1866-1941), cresciuta fra la borghesia coloniale australiana, cugina di Katherine Mansfield, convolata a (varie) nozze aristocratiche, autrice del semi-autobiografico Il giardino di Elizabeth e dell'ironico Una principessa in fuga (ripubblicati, in parallelo, da Fazi e da Bollati Boringhieri); la texana Katherine Anne Porter (1890-1980), autrice di racconti da Pulitzer (raccolti in Lo specchio incrinato, Bompiani). O altre meno conosciute, come Emily Eden (1797-1869), figlia di un barone, narratrice dell'Inghilterra ottocentesca considerata la «rivale» di Jane Austen (Una casa quasi perfetta, Elliot) e Barbara Comyns (1907-1992), che in Chi è partito e chi è rimasto (Safarà) mette in scena la follia che cattura un piccolo villaggio inglese, fra eventi inspiegabili e morti grottesche.
Il suo animo nero ricorda quello di Leonora Carrington (1917-2011), musa e compagna di Max Ernst, pittrice surrealista, che lascia l'Inghilterra a 19 anni e trascorre gran parte della sua vita in Messico. È qui, in una delle stanze di casa sua, che Leonora ricopre le pareti di disegni inspiegabili, a volte mostruosi; e, per rassicurare i bambini, si inventa delle storie, altrettanto fantasiose... Nascono così le «fiabe» di Il latte dei sogni (Adelphi, con le splendide illustrazioni dell'autrice), che sembrano più che altro la versione per minorenni dei suoi racconti immaginifici (La debuttante, Adelphi), in cui a farla da padrone sono iene, cavalli, uccelli mostruosi, ombre, feste a cui nessuno vorrebbe partecipare e perfino la Paura in persona. Non mancano poi le streghe: come Lois la strega di Elizabeth Gaskell (1810-1865), riproposto da Elliot (che di recente ha ripubblicato anche La cugina Phillis), o come Lolly, la protagonista imprevedibile di Lolly Willowes di Sylvia Townsend Warner (1893-1978), tornato in libreria in contemporanea con la pubblicazione di Il cuore vero (Adelphi), un romanzo concepito come un «riadattamento» vittoriano della storia di Amore e Psiche di Apuleio.
Il microcosmo familiare, i dialoghi brillanti, l'attenzione ai dettagli, una trama coinvolgente, la costruzione dei personaggi, e poi l'humor, l'intelligenza acuta, la dissezione senza scrupoli dei sentimenti, poca concessione al mellifluo, niente romanticismi o tormenti
a buon mercato, scarsa propensione al nevroticismo autobiografico: è il filo rosso che lega queste scrittrici, e che non sempre si è allungato fino ai romanzi di oggi. Forse è anche per questo che sono tornate di moda...
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