"Sono icona gay mio malgrado". Ma ora usano la Carrà per il ddl Zan

Dal ddl Zan alla cancel culture, fino alle bandiere rainbow sul suo feretro: la morte di Raffaella Carrà strumentalizzata a uso e consumo di una certa sinistra

"Sono icona gay mio malgrado". Ma ora usano la Carrà per il ddl Zan
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Per quasi una settimana l'Italia ha pianto la morte di Raffaella Carrà. Una settimana fa ci lasciava l'indimenticabile Maga Maghella e sono stati tantissimi gli omaggi che le sono stati tributati e che continueranno a esserle tributati a oltranza. Ma se da un lato c'è chi ha voluto sinceramente salutare e ricordare l'ultima showgirl italiana, pilastro della nostra tv, che ha contribuito a modificare usi e costumi dell'Italia degli anni Settanta, c'è anche chi, a poche ore dalla sua morte, ha cercato di strumentalizzarne in modo oltraggioso l'immagine.

In Italia da settimane impazza il dibattito sul ddl Zan. Voi direte che no, non è da settimane ma è da mesi che se ne parla. È vero, ma sembrava che si potesse arrivare a una quadra del cerchio negli ultimi giorni se solo Pd e Movimento 5 Stelle non si fossero messi di traverso, sollevando un muro e impedendo qualunque forma di dialogo. E poi li chiamano dem. Proprio nei giorni in cui Matteo Renzi si univa al coro degli scettici per l'attuale forma del ddl Zan, Raffaella Carrà se ne andava per sempre. Perché accostare i due fatti? Questa sarebbe una domanda logica da fare a chi, nell'ultima settimana, ha usato il nome della showgirl per fare leva sull'emotività e spingere sull'approvazione del disegno di legge di Alessandro Zan.

Letteralmente a poche ore dalla sua morte, forse ne erano trascorse una manciata e non di più, qualche furbacchione ha avuto l'idea: cambiare il nome del ddl e trasformarlo in ddl Carrà. Così, a caso. I gay dicono che Raffaella è una loro icona, la Carrà non ne ha mai capito il motivo. "Sono diventata icona gay mio malgrado, non ho fatto nulla", diceva lei. Volevano intestarle il ddl Zan ma lei, negli ultimi anni, non è nemmeno intervenuta sul tema. Perché non è stata interpellata da viva sull'argomento? Perché aspettare che sia morta per usarla a tal fine?

Era difficile, ma il candidato sindaco del Partito gay a Milano è riuscito anche a essere più fuori luogo, proponendo di sradicare il ricordo di Indro Montanelli dal parco che porta il suo nome per dedicarlo a Raffaella Carrà. Per quanto sia stata una grandissima showgirl, una straordinaria testimone dell'Italia migliore, il pretesto della sua morte per cavalcare la cancel culture è aberrante. Poi c'è Vladimir Luxuria che, probabilmente sull'onda dell'emotività, ha condiviso la foto della sua bara con sopra la bandiera rainbow.

La domanda resta sempre la stessa. Perché la comunità Lgbtq+ l'ha voluta etichettare come sua paladina? Raffaella Carrà cantava l'amore universale a tutto tondo, non quello omosessuale e anche se in queste settimane in tanti si sono sperticati ad analizzarne i testi, solo in "Luca" la Carrà ne fa esplicito riferimento. Poi, che le sue canzoni siano allegre e spensierate nella musica quanto profonde nei testi, se ci si ferma ad ascoltare, nessuno lo può negare. Ma Raffaella Carrà era una donna libera, che non ha mai voluto etichette.

E non è certo perché indossava abiti di paillettes e cantava "com’è bello far l’amore da Trieste in giù" che può essere strumentalmente usata per sponsorizzare il ddl Zan, per lo più da morta. Servirebbe un po' più di dignità e rispetto in questo Paese. Almeno per i morti.

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