Con Pappano rifulge «Fidelio» di Beethoven

Essendo il reparto registico sempre più spesso fuori controllo, l'esecuzione di un'opera in forma concerto è quanto mai salutare: l'apparato visivo riposa a vantaggio di quello auditivo. Il riferimento è all'apertura della stagione dell'Accademia di Santa Cecilia che ha presentato il Fidelio di Beethoven in forma «di concerto». Una prassi, quella dell'esecuzione del repertorio operistico in una stagione «sinfonica», a cui Antonio Pappano ha abituato le compagini ceciliane, abbattendo un pregiudizio che poneva il «sinfonico», la musica «pura», in una sfera più alta, relegando l'opera in posizione subalterna (nel caso del passato ceciliano alle incisioni discografiche). Quanto sia salutare il «trattamento» lo dimostra il fatto che oggi l'Orchestra e il Coro di Santa Cecilia sono al vertice del panorama nazionale, e si guadagnano un credito internazionale mai prima raggiunto. Emblematico il lavoro di Pappano nei riguardi di quell'unicum operistico che è Fidelio, mantenuto sempre nell'ambito del suo tempo con rapporti narrativi e pesi fonici calibratissimi, mai cedendo all'enfasi retorica, come nella cantata finale, un trionfo ritmico sinfonico-corale inondato dalla luce della giustizia.

Fra i solisti bellissime scoperte (perdonino i noti Simon O' Neill e Günther Groissböck) nelle parti più scomode: Leonore/Fidelio aveva la sovrana spontaneità di Rachel Willis-Sorensen, l'imperioso Pizzarro gli acuti veementi di Sebastian Holeck, il nobilissimo Ministro la classe di Julian Kim. Pubblico quirita plaudente con punte trionfali dopo l'intermezzo della Leonora III.

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