Cultura e Spettacoli

Questo è l'attimo decisivo: portiamo in Italia il quadro

Sottoscrizione, in accordo col ministro, per comprare il capolavoro del Merisi ritirato dall'asta a Madrid

Questo è l'attimo decisivo: portiamo in Italia il quadro

Comincia adesso la corsa a ostacoli per rivendicare il primato della scoperta del Caravaggio a Madrid, ovvero chi sia stato il primo studioso, o conoscitore, che lo ha riconosciuto. Si è subito chiamato fuori Nicola Spinosa, esperto di pittura napoletana del '600, che si era esposto (rimanendo solo con Keith Christiansen) ad avvalorare come opera di Caravaggio la discussa Giuditta e Oloferne, apparsa in Francia nel 2014. Anch'essa, posta all'asta il 27 giugno del 2019, fu ritirata dalla vendita, ma per ragioni opposte rispetto al ritiro madrileno. Troppi gli studiosi non convinti, che, con i loro dubbi, hanno consigliato di accettare fuori asta un'offerta che non si poteva rifiutare, oltre i 100 milioni di euro, con la mediazione di Christiansen, aduso ai rapporti con il mercato. E si capisce la decisione, non essendo l'opera di Caravaggio, e rischiando, a quelle cifre (partiva, all'apposto di Madrid, da una valutazione altissima), di andare clamorosamente invenduta.

Questa volta l'entusiasta Spinosa è insolitamente prudente, e pensa a un caravaggesco di prima fila, anche se non propriamente Ribera. Avanza invece, con il supporto di Repubblica, Maria Cristina Terzaghi, che dice cose sagge, ma che non è stata certo la prima a riconoscere il dipinto. Tanto che lei stessa lo dichiara: «Nel giro di 48 ore, è accaduto insomma, quel che nella storia dell'arte in generale, e nella critica caravaggesca in particolare, non succede quasi mai: mercanti, antiquari, studiosi, direttori e curatori di musei hanno avuto lo stesso pensiero: è Caravaggio, e la voce si è sparsa! E nemmeno contava chi l'avesse detto prima e chi dopo, anche se c'è un certo gusto per chi se n'è accorto (tra i colleghi pervenuti alla stessa conclusione ricordo Stefano Causa che mi ha chiamato sbalordito). Era lui e basta, evidente come il sole di oggi». Appunto.

E così il dipinto è stato ritirato dall'asta non solo per l'intervento del ministero della Cultura, su sollecitazione del Prado, ma, evidentemente, per l'«eccesso di offerte» che hanno evidentemente frastornato i proprietari del dipinto: 1500 euro o 1 milione e mezzo, 15 milioni o 300 milioni di euro, in una escalation impressionante e plausibile. L'evidenza è tale che io ho anticipato di un giorno (l'8 aprile sul Giornale e in una intervista al Corriere) gli stessi riferimenti, valutazioni e osservazioni della Terzaghi il giorno dopo (su Repubblica), anche se non credo che l'opera, pure in una collezione napoletana, appartenga al periodo napoletano del Caravaggio, ma cada un po' prima, tra 1605 e 1606. Questione di un anno, ma per gli studiosi si tratta di differenze significative, soprattutto per una esperta del periodo napoletano del pittore.

Non è rilevante, invece, la precedenza di un giorno, tale da far rivendicare una primazia sulla scoperta, come a una incollatura dall'arrivo, perché al primo sguardo, a colpo d'occhio, il dipinto si presenta come Caravaggio, «evidente come il sole di oggi».

Ma perché dunque tutti insieme, tra il 7 e l'8? E, contestualmente, ho avuto notizia di una nota, con i nostri stessi argomenti, di David Jaffe, e di un parere chiesto dall'antiquario Altomani a Massimo Pulini, che ne scrive sull'Avvenire. La risposta è semplice: non bisogna disturbare il manovratore, ovvero i grandi mercanti che si affannano a capire, che interpellano studiosi (tra i quali la Terzaghi), che cercano certezze, in attesa del grande giorno. Fino a quel momento (io compreso, essendo in gara con la mia cordata), silenzio assoluto. Per non scoprire le carte. E perché, pur con il vasto mormorio, la notizia della clamorosa vendita non diventi pubblica, con l'eccessiva curiosità e con il rischio degli effetti d'interdizione che sono poi, comunque, seguiti.

Quando il 7 mattina arriva la notizia che il quadro è stato ritirato, liberi tutti. E a quel punto ognuno è pronto a parlare, e a dire: io l'avevo visto, io lo sapevo, con compiacimento e vanità. Almeno quello, dal momento che non si può avere altro. Il ristoro della gloria. E lo dico, senza falsi moralismi e senza tirarmi indietro, perché se io avessi dovuto agire non nella prospettiva di un comunque formidabile acquisto, e quindi con una legittima speculazione, ma soltanto per il piacere della scoperta, per la soddisfazione di essere il primo, avrei dovuto scriverne il 25 marzo, il giorno in cui Antonello Di Pinto mi ha inviato, via WattsApp, la fotografia dell'Ecce Homo, raccontandomi dell'interessamento di un celebre antiquario.

Per 15 giorni io ho tenuto gelosamente il segreto, mentre l'immagine cominciava a circolare nei telefoni di antiquari ed esperti, e la notizia si diffondeva come il venticello della calunnia. Per capire chi è stato il primo a riconoscere Caravaggio dovremmo fare un confronto con le schermate dei telefonini. Potremmo così sapere quando se n'è accorta la Terzaghi che, come me, si è svegliata soltanto il 7 aprile.

La morale è che, davanti a una apparizione così clamorosa, i tanti interessi prevalgono sulla pura speculazione intellettuale, e tutti ci sentiamo obbligati al riserbo e alla consegna del silenzio. Potremmo dunque dire che la scoperta di questo Caravaggio è stata come l'inaugurazione di un'opera pubblica, almeno sul piano del godimento e della conoscenza: una scoperta corale, di assoluta evidenza, che non ha bisogno di altro che della sua stessa forza.

L'evidenza di un capolavoro (che io ho accostato alla fotografia del Miliziano morente di Robert Capa), per l'attimo decisivo che ci consegna, spazza via gli sporadici dubbi di studiosi piccati e perdenti, e la stessa circospezione, non si sa se tattica, degli esperti del Prado. I quali hanno preso tempo per studiare quello che è lampante (il colpo di fulmine, l'amore a prima vista), dichiarando che il dipinto «riunisce molti elementi di interesse e merita uno studio approfondito per poterlo attribuire correttamente».

C'è poco da attribuire. Caravaggio si presenta e si attribuisce da solo. L'Ecce Homo è un «Ecce Caravaggio». E auguro agli amici del Prado di non esitare troppo, perché è mia intenzione coinvolgere il nostro governo per ottenere che il dipinto ritorni, dopo un legittimo acquisto, pari al valore della commissione per le mascherine acquistate dal commissario Arcuri, in Italia, alla Galleria Borghese o a Capodimonte (se dipinto a Roma o a Napoli). Da tempo attendo un commissario per le arti e per gli acquisti ai musei che intervenga in casi come questo, e come quelli recenti di Leonardo e Cimabue, finiti altrove.

Intanto, con il Giornale, promuovo una sottoscrizione, da farsi in accordo con il ministero della Cultura, per contribuire all'acquisto del dipinto. Caravaggio è universale, ma resta italiano. Non spagnolo.

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