Rothko, Modigliani, Picasso I capolavori nascosti che non vedremo mai

Migliaia di opere sono conservate nei porti franchi, da Ginevra a Newark. Musei splendidi e inaccessibili

Eleonora Barbieri

Compra e nascondi. Un Picasso, un Modigliani, un Rothko. Un Andy Warhol. O un reperto etrusco. Migliaia e migliaia di opere acquistate alle aste (o attraverso altri canali non sempre alla luce del sole) e poi sottratte alla vista, non solo del pubblico, ma degli stessi proprietari: capolavori destinati non a essere appesi in un museo, in una galleria, o su un muro di un appartamento di lusso, bensì a finire in una cella. Climatizzata, superprotetta, molto segreta. È il regno dei porti franchi, luoghi di «stoccaggio» che nell'Ottocento erano pensati per i beni fondamentali, per esempio il grano e poi negli ultimi decenni hanno iniziato a ospitare simboli del lusso come vini, automobili, lingotti d'oro; infine, negli ultimi anni, sono diventati la casa di molte opere d'arte. Tanto che di recente l'International Herald Tribune li ha definiti «i migliori musei che nessuno vedrà».

Perché rinchiudere in un edificio inaccessibile un quadro meraviglioso? Mancanza di spazio, discrezione, sicurezza e, soprattutto, la (non) tassazione. Se un'opera d'arte finisce direttamente dalla casa d'aste in un porto franco, l'acquirente non deve pagare la tassa normalmente dovuta. Il New York Times ha fatto due conti, per esemplificare: un ricco signore di Manhattan compra un quadro per dieci milioni di dollari da Sotheby's, a New York; dovrebbe pagare 887.500 dollari di tasse e invece, se lo fa spedire direttamente in uno di questi storage, non paga un dollaro. Per dire, uno è sorto da poco a Newark, nel Delaware. Un altro è nato due anni fa in Lussemburgo, uno alle porte di Pechino e, prima ancora, ne sono nati uno a Monaco e uno a Singapore, nel 2010. Tutti creati sulla scia del porto franco di Ginevra, tuttora il più importante nel suo genere: nelle sue stanze sarebbero conservate «migliaia» di opere di Picasso (dipinti, disegni, sculture), come raccontò al New York Times qualche anno fa Simon Studer, un ex dipendente della struttura, poi diventato un gallerista, con la sua esposizione proprio all'interno del porto franco ginevrino. L'autore del pezzo, il giornalista David Segal, in visita nel «bunker» svizzero era riuscito a individuare dei Monet, dei Rothko, dei Warhol.

A Ginevra è stata individuata la «collezione» di un mercante di diamanti coinvolto nello scandalo dei Panama Papers: 28 milioni di dollari di opere di Jeff Koons, Miró, Warhol. È stato scovato, pochi mesi fa, L'uomo seduto con bastone, un quadro di Modigliani (valore venti milioni di dollari) che, secondo le accuse, era stato rubato dai nazisti. Le indagini (e, ancora una volta, i Panama Papers) hanno portato a identificare l'attuale proprietario in David Nahmad, rappresentante di una famiglia che, secondo le stime, possiede circa 4.500 opere stivate a Ginevra. Fra cui molte (spiega Forbes) firmate da Monet, Matisse, Rothko, Renoir; e trecento di Picasso, del valore di almeno un miliardo di dollari. Uno di questi, L'Arlecchino con fiori, è stato anche esposto in una mostra a Zurigo, una selezione di cento opere «di famiglia»; in quell'occasione l'erede della dinastia Helly Nahmad disse a The Art Newspaper: «È un peccato. È come se un compositore creasse una musica e nessuno la ascoltasse».

Secondo le stime delle autorità svizzere, soltanto a Ginevra si troverebbero oltre un milione di opere; a livello globale, il valore dei tesori conservati nei porti franchi sarebbe di almeno cento miliardi di dollari. Quanto costa depositare un quadro? Il direttore della struttura lussemburghese David Arendt ha spiegato alla rivista Campden Fb che per un dipinto di 60x80 centimetri si pagano due euro al giorno, ma alcuni affittano una stanza intera, 1.300 euro al mese per venti metri quadrati.

Il problema però non è quanto si paga ma, piuttosto, che cosa si nasconde. Per esempio, all'inizio dell'anno una serie di antichità romane e etrusche sono state scovate dalla polizia: erano state nascoste da un mercante d'arte britannico finito in prigione e molte provenivano da siti depredati. Poi c'è stato il «caso Bouvier», cioè Yves Bouvier, affarista svizzero, proprietario di una azienda di logistica e mercante d'arte ad alti livelli, diventato l'«uomo di fiducia» di un oligarca russo, Dmitry Rybolovlev. Quest'ultimo lo ha accusato di averlo truffato per qualcosa come due miliardi di dollari (la sintesi della sua irritazione in un lungo ritratto del New Yorker dedicato a Bouvier: «Ma, Yves, questi ricarichi valgono un Boeing») mentre lo aiutava ad acquistare capolavori di Chagall, Van Gogh, Picasso, Klimt, Modigliani, Rothko, fra cui l'inseguitissimo No. 6 (Violet, Green and Red). Non solo. Rybolovlev ha anche accusato Bouvier che due Picasso procurati da Bouvier, fra cui L'Espagnole à l'éventail, conservato proprio a Ginevra, fossero di provenienza illecita: Catherine Hutin-Blay, figlia della vedova di Picasso Jacqueline ha infatti dichiarato che quell'opera le sarebbe stata rubata. Il fatto è che Bouvier è uno dei maggiori proprietari di spazi e di merci nel porto franco di Ginevra: ha a tal punto intuito le possibilità di guadagno tramite questi luoghi di «stoccaggio» che è stato proprio lui a spingere e ottenere i fondi per la costruzione delle strutture di Singapore e Lussemburgo. Un intreccio non sempre cristallino, che negli ultimi mesi ha spinto le autorità svizzere a incrementare la sicurezza e i controlli sull'origine delle opere.

Studer, l'ex inventarista diventato gallerista, sintetizzò così: «Sono posti noiosi, grigi, ma si possono trovare delle sorprese». Però alla fine «è solo business». I capolavori, anche quelli, possono attendere (sottocoperta).

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