Cultura e Spettacoli

Solo il libero mercato può ridurre le disuguaglianze

Zitelmann mostra come la lotta dello Stato contro la povertà produca... altra povertà

Solo il libero mercato può ridurre le disuguaglianze

Ammettiamo che ridurre le diseguaglianze globali e all'interno di ogni Paese sia un giusto obiettivo. Bene, ancora non abbiamo detto niente, a parte aver enunciato un principio generale tra l'altro suscettibile di critiche. Potremmo chiederci se una società di uguali sia auspicabile. Potremmo chiederci se tale società si possa creare senza ricorrere alla coercizione. Potremmo anche chiederci se il livello di disuguaglianza sia il giusto termometro per misurare il benessere. Domande che rinviamo a un'altra occasione.

Le disuguaglianze ci sono. A questo punto, bisogna decidere come colmarle. La sinistra, da sempre, punta sul prelievo fiscale e sulla redistribuzione. Un tempo, era rivoluzionaria. Oggi, scesa a consigli più miti, assegna allo Stato il compito di «regolare» l'economia, cosa che espande la sfera di influenza del potere pubblico. La crisi del Covid ha riportato in primo piano lo statalismo, ne abbiamo plurime testimonianze, dal prezzo fisso delle mascherine (sparite immediatamente) alle dichiarazioni reiterate di Romano Prodi, che vorrebbe lo Stato azionista nelle imprese private in difficoltà, passando per l'ennesimo salvataggio di Alitalia. In campo culturale, Thomas Piketty è stato salutato come un novello Marx in virtù del suo poderoso saggio Il capitale nel XXI secolo seguito, con ottimo tempismo, dal nuovo Capitale e ideologia (La Nave di Teseo). Piketty vorrebbe cambiare sistema economico per ridurre le diseguaglianze. Tesi di fondo: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri. Non è il caso a produrre lo squilibrio. Sono le scelte politiche dei cattivoni neoliberisti. Il punto di vista è largamente maggioritario, almeno tra gli intellettuali, nonostante i corposi dubbi sollevati sulla competenza dell'economista francese. Fin qui la sinistra.

La destra liberale (e conservatrice) come pensa di risolvere il problema della diseguaglianza? Una risposta chiara, dal taglio insieme storico ed economico, è offerta dal tedesco Rainer Zitelmann in La forza del capitalismo. Un viaggio nella storia recente di cinque continenti (traduzione di Guglielmo Piombini, Ibl libri, pagg. 348, euro 20). La forza del capitalismo è dimostrata coi fatti più che con i numeri (comunque abbondanti). Dopo aver affrontato il tema generale delle diseguaglianze, Zitelmann prende in esame alcuni casi di studio provenienti da ogni parte del mondo, si va dall'assistenzialismo nei confronti dell'Africa alla bolla speculativa esplosa nel 2008.

Ripartiamo da Piketty. Scrive Zitelmann: «Altri autori hanno pubblicato delle critiche esaurienti alla raccolta di dati e agli errori metodologici di Piketty, costringendolo a ritrattare alcuni principi fondamentali del suo libro. Io però intendo porre una domanda completamente diversa, che a mio parere riveste, per la maggior parte delle persone, un significato maggiore della preoccupazione di Piketty per le disuguaglianze di ricchezza. Se il capitalismo tenda ad aumentare o abbassare il tenore di vita complessivo mi sembra di gran lunga più rilevante di qualsiasi presunto aumento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza». In altre parole: «Che cos'è più importante per queste centinaia di milioni di persone: che non muoiano più di fame, o che la ricchezza dei plurimilionari e dei miliardari sia aumentata in misura maggiore del loro tenore di vita?».

Scopriamo le carte: contro la povertà non c'è arma migliore della libertà garantita dal mercato. Anche su questo tema Zitelmann nuota controcorrente rispetto ai luoghi comuni accettati come articoli di fede nel mondo della cultura. Non sono il capitalismo e la globalizzazione ad avere causato fame e povertà in varie parti del mondo? La risposta è: no. Prendiamo la storia recente dell'Africa. Troveremo molti esempi che permettono a Zitelmann di affermare: «Il capitalismo non è il problema, ma la soluzione, avendo dimostrato di essere più efficace nella lotta alla povertà rispetto agli aiuti economici. Gli studi mostrano che i Paesi in via di sviluppo più orientati al mercato hanno un tasso di povertà solo del 2,7%, rispetto al 41,5% dei Paesi in via di sviluppo senza libero mercato». Questo fatto storico vale anche per il ricco Occidente. Secondo Zitelmann, il 97% della ricchezza totale creata nel corso della storia dell'umanità è stato prodotto tra il 1750 e il 2000. Nello stesso periodo, l'aspettativa globale di vita è quasi triplicata poiché era di soli ventisei anni nel 1820. La nostra specie è diventata più intelligente? No. Una parte di essa ha adottato un sistema economico basato sulla proprietà privata, l'impresa, i prezzi e la concorrenza...

Già, ma chi garantisce che un'economia pianificata, capace di non ripetere gli errori dell'Unione sovietica, non riesca a fare altrettanto? In generale, un maggiore intervento statale conduce a tassi di crescita più bassi, in alcuni casi anche negativi, mentre, scrive Zitelmann, «la recente storia economica degli Stati Uniti e del Regno Unito fornisce prove convincenti che il capitalismo porta a un più rapido aumento della prosperità per la maggior parte delle persone». E ancora: «Poiché l'economia non è un gioco a somma zero, l'idea che la redistribuzione risolva i problemi sociali è ingenua. Storicamente la redistribuzione ha contribuito molto meno della crescita economica all'eliminazione della povertà e il suo unico impatto sui problemi sociali è spesso stato quello di accentuarli».

Eppure noi vediamo schierarsi con gli statalisti anche uomini di impresa o banchieri: «L'errore più grande che unisce i socialisti di vario orientamento con le persone che gestiscono le banche centrali è la convinzione che alcuni grandi pianificatori siano in grado di determinare le necessità della popolazione meglio di milioni di imprenditori, investitori e consumatori». L'ingloriosa fine del socialismo reale è una sentenza contro le quote di produzione e i prezzi fissati per legge. Nel libro potrete trovare esempi a dimostrazione di queste idee.

La lotta alla povertà, condotta dallo Stato pianificatore, porta altra povertà.

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