Ovvio che giudicare un cast esclusivamente dai nomi dei cantanti è come valutare una cena dal menu dei piatti: si può fare, ma solo sulla carta. In attesa di ascoltare (presto) i brani del prossimo Festival di Sanremo, in scena dal 4 all'8 febbraio, l'elenco dei concorrenti sembra quello di un governo, molto calibrato, attento a tutte le esigenze, neanche tanto rispettoso della parità sessuale (5 donne su 22) ma aderente alle zone mediane della musica. Esclusi come da tradizione i suoni «estremi», c'è molto rap e valanghe di pop, con poca canzone d'autore nell'accezione classica (dicesi vecchia) del termine e definitivo superamento della «fase indie»: gli unici ancora da qualcuno considerati «indie», ossia i bergamaschi Pinguini Tattici Nucleari di sicuro pressoché sconosciuti al pubblico abituale di Raiuno, passano sui network radiofonici e hanno esaurito in prevendita il Forum di Milano, altro che localini o piccoli club di periferia.
E attenzione: sono inutili le chiacchiere sulla presenza di cantanti ex talent. Al di là di Alberto Urso (possibile sorpresa) e Giordana Angi (una gran bella autrice), non ci sono nuovi arrivi dai talent, che sono comunque uno dei serbatoi più fruttiferi del pop negli ultimi dieci anni. Gli altri, da Elodie (occhio a lei) e Nigiotti, si sono ormai affrancati da questa etichetta. Nel complesso, il settantesimo Festival ha sulla carta un cast «Cencelli», calcolato con attenzione a quasi tutti, quindi forse molto (troppo) omogeneo. Tanto per presentarle, Amadeus ha detto di aver scelto canzoni che funzionino «in radio e in streaming» e che sono «dolci e romantiche ma hanno ritmi scatenati», definizione sexy ma di scarso aiuto perché gran parte dei brani pop di successo sono romantici e scatenati. Non si sa se sarà romantico, ma molto probabilmente è scatenato il pezzo di Elettra Lamborghini che, dopo The Voice, tenta il salto dal twerking (letteralmente l'esibito e frenetico tremolio delle natiche) a un ruolo un po' meno folcloristico. Dopotutto il Festival di Sanremo è quasi sempre lo sperato trampolino per un cambiamento. Il fenomenale Paolo Jannacci prova a consacrare la propria carriera solista e il suo ritmo e la grande padronanza musicale possono diventare una sorpresa. Riki, uno strafamoso tra i giovanissimi, mira ad altre fasce anagrafiche. Anastasio, vincitore di X Factor 2018, si spera sia un elemento di rottura con un testo forte come ha dimostrato di saper scrivere, mentre Junior Cally, rapper (s)mascherato perché fino a pochi mesi fa si esibiva solo con una maschera antigas sul volto, è la vera sorpresa, non soltanto per il grande pubblico. E Levante? Dicono gran bel brano.
Poi Rancore, che è un peso massimo dell'hip hop italiano e torna dopo aver partecipato l'anno scorso cantando Argentovivo con Daniele Silvestri: da lui potrebbe arrivare il tocco di classe. Le Vibrazioni sono in quota pop rock, mentre Morgan e Bugo sono in quota «duo assemblato per l'occasione»: Morgan è Morgan con tutte le sue incognite, Bugo è fenomenale e imprevedibile, di certo una sorpresa per il grande pubblico che finalmente lo conoscerà. Infine ci sono Raphael Gualazzi, che esce dal suo isolamento jazz solo quando ha davvero un bel pezzo, e Marco Masini che apparizione dopo apparizione alza sempre l'asticella della qualità. Troppo sottovalutato, è uno dei più attesi. Idem Gabbani, scrittura personale, intuizioni vincenti, che di certo spariglierà le carte. Lo farà anche Achille Lauro, al secondo Festival consecutivo. Lui è «tematico», piega il proprio stile a seconda dell'ispirazione. Era trap, poi vagamente punk, poi anni Novanta ora chissà. Attenzione al look: senza dubbio lì non lo batte nessuno.
Per chiudere, ci sono i «navigati». Irene Grandi festeggia venticinque anni di carriera chiudendo, si spera, un'eclissi durata anni.
Michele Zarrillo ha la grande, e forse ultima, sfida: rinnovarsi e non rimanere legati al passato. Rimane Piero Pelù, uno che mai e poi mai l'avresti immaginato all'Ariston. C'è arrivato, è una parte del suo percorso ma, se inciampa, il capitombolo sarà il più rumoroso.
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