Cultura e Spettacoli

"Dopo il Trono di Spade recito in un thriller sui grandi poteri occulti"

L'attore da stasera su Fox è una spia inglese «Ho persino preso lezioni da uno stuntman»

"Dopo il Trono di Spade recito in un thriller sui grandi poteri occulti"

Chiara Bruschi

da Londra

Joe Dempsie ha tolto, per ora, i panni dell'ingenuo Gendry Waters del Trono di Spade ed è diventato Harry Clarke, una spia dell'MI6 che si ritrova inspiegabilmente nella «killing list» dell'agenzia per cui lavora. È lui il protagonista, insieme a Mark Strong, di Deep State, il nuovo «spy thriller» in otto puntate in onda su Fox, alle 21,50 dal 9 aprile. In questa serie la guerra viene raccontata come un business e a descriverla è Matthew Parkhill, incuriosito dai guadagni milionari di un'azienda di costruzioni americana realizzati con il conflitto in Iraq.

Dempsie, 30 anni, ha imparato la lingua farsi, ha preso lezioni da uno stuntman e soprattutto si è dimostrato preparato sugli ipotetici legami tra i governi, le grandi corporation e i servizi segreti. Mai come oggi, infatti, il confine tra realtà e finzione è apparso così confuso.

Lo incontriamo in un hotel di Soho, a Londra, in un periodo non certo semplice per la diplomazia internazionale per l'avvelenamento dell'ex agente russo Sergei Skripal e della figlia Yulia, con tanto di accuse a Vladimir Putin. Una coincidenza che ha lasciato attonito l'attore britannico: «Molti dettagli di quanto accaduto a Salisbury sembrano presi da un romanzo. È difficile scrivere un thriller a sfondo politico, la realtà si muove così in fretta e in direzioni così inimmaginabili che diventa più assurda della fiction».

Secondo lei il «deep state» esiste?

«È un termine usato da Donald Trump ma nato in Turchia anni fa e si riferisce alla rete di poteri occulti che comanda le nostre democrazie. Se come attore vuoi toccare questi argomenti, ti ci devi identificare, devi sentire il bisogno di raccontare una storia rilevante per la società in cui vivi».

Quindi i nostri politici sono dei fantocci.

«Non mi lascio trascinare nel tunnel dei video cospirazionisti di Youtube, ma mi piace informarmi e negli ultimi anni l'impatto dei media sulle nostre vite è stato molto forte. A controllarli sono pochi uomini di potere con risorse sufficienti a guidare anche la politica. Negli Usa, dove la nostra storia a un certo punto si sposta, è tutto più trasparente ma non meno contaminato».

Ci spieghi meglio.

«Mi riferisco alle lobby che donano milioni di dollari alle campagne elettorali per far sì che la loro agenda d'affari sia portata avanti dalla politica che stanno finanziando».

Di spy story ne abbiamo viste tante. Cosa c'è di diverso in Deep State?

«Il fatto che i protagonisti siano persone con una vita vera, hanno una famiglia e un complicato bagaglio di emozioni che entra a gamba tesa nella storia, non è un dettaglio che fa da sfondo».

Pensando alle spie viene in mente James Bond.

«Sono un grande fan di Daniel Craig ma Deep State è molto diverso: c'è più realtà e meno glamour. Non siamo agenti segreti che sparano ai cattivi e poi sono subito pronti a una nuova missione, ma persone che hanno una vita oltre il lavoro e che cercano con difficoltà di gestire questo complicatissimo equilibrio».

Come si è preparato per interpretare Harry Clarke?

«Ho avuto una settimana per sembrare un vero agente dell'MI6, dove l'addestramento è esemplare. Harry è un idealista che si scontra con una realtà confusa. Leggendo la sceneggiatura ho imparato a conoscerlo e poi ci ho messo la mia immaginazione, mi piace osservare le persone».

È per questo che è diventato attore?

«All'età 13 anni mia madre mi ha sentito parlare con un amico di quanto mi piacesse recitare a scuola e mi ha iscritto alle audizioni per un rinomato seminario a Nottingham, gratuito. È stato fondamentale perché era un posto sicuro dove sbagliare, mettersi alla prova. La carriera è stata poi una felice casualità, si sa come funziona questo mondo».

E se non fosse diventato attore?

«Stavo per iscrivermi all'università per diventare professore di storia. Alla fine credo sia storytelling anche quello, ma ho capito che mi piaceva recitare e ho continuato per quella strada».

O è diventato una spia e nessuno lo sa.

«Un agente segreto deve essere fisicamente in forma, mentalmente molto forte ma soprattutto deve saper gestire una doppia vita. Nel mondo dello spionaggio nulla è ciò che sembra e abitarci deve essere molto straniante. Io? No, non ce la farei mai a entrare nell'MI6.

O forse sì?».

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