Ufficiale e gentiluomo nell'incivile guerra di Spagna

Fabrizio Ottaviani

Il nuovo romanzo di Igor Patruno, Sotto il cielo di Spagna (Ponte Sisto, pagg. 520, euro 16,50) conferma che il romanzo storico ambientato al tempo del Ventennio è diventato un genere letterario a se stante, con alcune regole da rispettare: il motore dell'azione deve essere un ceto politico dinamico, dotato di una visione, composto da funzionari in camicia nera che operano con scaltra solerzia. Al centro della giostra un po' anfetamìnica del regime, però, bisogna mettere un protagonista depresso, senza il quale si rischierebbe l'apologia o peggio ancora la rivelazione che la nostra immagine del fascismo si è ormai trasformata nell'esatto contrario del presente senza bussola in cui navighiamo (quando navighiamo).

Nel romanzo di Patruno, l'Amleto che non si diverte alla festa è l'ufficiale Bruno Mancini. La carriera militare non gli interessa e neanche la prospettiva, ventilata dalla più nichilista delle sue amanti, di rianimare il mito dannunziano di un'esistenza fatta solo di piaceri. Se chiede ai superiori di mandarlo in missione nella Spagna della guerra civile non è per zelo, ma perché spera che il bagno di sangue iberico lo guarisca dal taedium vitae. Giunto in Spagna, non tarda ad accorgersi che le truppe inviate dal Duce sono composte da uomini di mezza età e che i franchisti sputano volentieri sulla mano porta dall'Italia. L'orrore della guerra civile traspare ovunque, rendendo evidente che le ideologie che si affrontarono fra il 1936 e il 1939 diedero il peggio di sé: nessuna assoluzione per il cattolicesimo retrivo del clero spagnolo e il fascismo piccolo-borghese di Franco, lo stalinismo feroce dei rojos e l'anarchismo truce. La gioia di vivere si respira solo nelle scene ambientate a Madrid sulla Gran Via o nell'Hotel Florida, dove si incrociano Hemingway, Dos Passos e Saint-Exupéry.

Oggi la Gran Via rassomiglia a una qualsiasi strada europea ostaggio di catene internazionali di abbigliamento, mentre al posto dell'Hotel Florida c'è un centro commerciale.

Sarà per questo che le pagine targate Roma 1936 appaiono così smaglianti? Che l'autore, scrivendo Sotto il cielo di Spagna, avesse in testa qualcosa di più complesso di una gara fra guardie e ladri lo dimostra il fatto che il romanzo si apre con l'intervista concessa da Heidegger allo Spiegel («Ormai, solo un dio può salvarci») e si chiude con alcune riflessioni di teologia politica che sarebbero piaciute a Carl Schmitt.

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