Vittorio Cecchi Gori: "Ecco la verità sulla mia malattia"

Ora che Vittorio Cecchi Gori è uscito dall'ospedale, ci tiene a fare chiarezza sulle tante cose dette sul suo ricovero. "Niente Covid e nessuna polmonite", racconta in esclusiva a ilGiornale.it

Vittorio Cecchi Gori: "Ecco la verità sulla mia malattia"

Nessuno sapeva quando, ma Vittorio Cecchi Gori è tornato a casa. Lo ha fatto in silenzio, per evitare di alimentare le tante false notizie che sono uscite sul suo stato di salute. Ora sta bene ma ci tiene a fare chiarezza, e in esclusiva a ilGiornale.it, racconta la verità che smentisce i titoli allarmanti che lo davano ricoverato in fin di vita. Allo stesso modo il suo ricordo va alla scomparsa di Monica Vitti, di cui era molto amico, e con la quale aveva lavorato in tre film. Lo incontriamo nella sua casa romana.

Sig. Cecchi Gori, la prima cosa che mi viene da dirle è bentornato a casa. Come si sente?

"Bene. Per fortuna, e come può vedere, le cose che sono state dette sulla mia malattia sono false. Sono stato male solo un paio di settimane, di cui una soltanto passata in ospedale".

Parla del fatto che sarebbe stato ricoverato per polmonite come conseguenza del Covid?

"Esatto, il Covid e la polmonite non c'entrano. Sono stato ricoverato per problemi di respirazione, dovuti forse a qualche chilo di troppo che premeva sul torace. Soprattutto nel periodo di Natale non mi sono mosso molto. Quando ha visto che non respiravo bene, Rita (Rusic ndr) ha insistito molto affinchè mi ricoverassi. Così come il professor Francesco Landi che mi tiene in cura da tre anni".

Eppure si era parlato di lei in fin di vita, e di situazione grave...

"Le sembro uno che è stato in fin di vita? Questi problemi respiratori li avevo da un po' come dicevo, e in ospedale mi hanno aiutato a superarli, rimettendomi in sesto. È vero che mi hanno somministrato l'ossigeno, ma è l'unica cosa in comune con il virus".

Vedo che in casa c'è una bombola d'ossigeno, è sempre sotto controllo?

"Solo per sicurezza. In realtà mi sento bene, ma il professor Landi mi dice sempre che a 80 anni bisogna stare sotto controllo".

Quanti messaggi ha ricevuto in ospedale?

"Molti che mi hanno fatto tanto piacere. Invece sono stato male per la scomparsa di Monica Vitti, che conoscevo bene e con cui ho lavorato tanto".

Che ricordo ha di lei?

"Nella via esistono i fuoriclasse, e lei era una fuoriclasse. Grande attrice e grande donna di cinema e spettacolo. Brava in tutto. Anche quando non li dirigeva lei, i film erano della Vitti. Ho ricordi bellissimi. Con lei ho lavorato nell'"Anatra all'arancia" con Ugo Tognazzi e la regia di Luciano Salce. Andai a Londra a comprare i diritti per farne una commedia che uscisse in lingua inglese. Lei era fantastica in questo, mi seguiva, avevamo lo stesso modo di vedere le cose e ci comprendevamo al volo. Per varie ragioni il film non si fece poi in inglese, ma fu un successo strepitoso ovunque".

Non è l'unico film che ha prodotto con lei...

"No infatti. Anche "Ti ho sposato per allegria". In realtà quello fu più merito di mio padre che mio. Un film tratto dal lavoro di Natalia Ginzburg. Modernissimo e molto avanti per l'epoca. Un film precursore dei tempi. Lei era meravigliosa anche in questo. Prima gli attori che come la Vitti avevano lavorato in pellicole considerate impegnate, ad esempio quelle di Antonioni, difficilmente poi si dedicavano alla commedia. Ma lei no. Per questo era una grande donna di spettacolo. Con lei si passava dal cinema, al teatro, alla letteratura in maniera veloce. È riuscita a fare grandi cose. Con lei feci anche un terzo film: "Non ti conosco più amore" con Gigi Proietti e Johnny Dorelli".

Che donna era fuori dal set?

"Una bella persona. Aveva solo una cosa dove era fissata, le foto. Per il resto una donna con cui potevi parlare di tutto"

In che senso?

"Quando si trattava di scegliere le foto, lei doveva dare la sua approvazione. Le ritagliava tutte con le forbici e da 100 foto al massimo se ne tiravano fuori cinque. Ci ridevo tanto su questa cosa".

Che cosa le ha lasciato?
"Ho imparato tanto da lei, come donna e come professionista. L'unica cosa in questa enorme mancanza è che si è tornati a parlare di lei e del suo lavoro. Credo che tutti noi dovremmo prendere la strada da lei indicata, per il bene del futuro del cinema".

Recitava anche in inglese?

"Parlava bene l'inglese, anche se farlo per la commedia era complicato".

Un ricordo personale tra voi due?

"Proprio sul film "Ti ho sposato per allegria", dove recitava anche Maria Grazia Buccella che all'epoca era la mia fidanzata. Lei tifava molto per la nostra coppia. La Buccella vinse come attrice non protagonista un David di Donatello, e Monica non faceva altro che dirmi quanto fossi fortunato ad averla e che bel carattere che aveva. Questo perché a me piaceva anche un'altra ragazza, ed ero indeciso con chi stare, e lei mi dava i consigli. Era unica anche umanamente. Mi è capitato anche con altri attori di pensare che erano meravigliosi sia nella vita che nella professione, ma a livello di donne solo lei. Nonostante la sua umiltà, non aveva bisogno che nessuno gli insegnasse niente, sapeva tutto da sola".

Quanto era bella?

"Non è la definizione che preferisco di lei. Monica era intensa. Nel grande momento della Loren, lei ha rappresentato l'intensità del genere femminile. Oltra al fatto che sì, era bellissima".

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