«Senza un denaro al mondo» di Gabriella Airaldi per De Ferrari è un libro sostanzioso nel senso che pur di agile lettura può interessare diverse fasce di lettori. È un libro a scenari. Il primo scenario si alimenta di storia. Airaldi, dal '76 professore ordinario a Storia medievale (uno dei migliori indirizzi dell'Università genovese), ha 400 pubblicazioni e all'agguerrita professionalità coniuga l'introspezione sul cuore dell'uomo. Su «La storia è il racconto del cammino dell'uomo nel mondo», frase di Marc Bloch, innesta due interpretazioni. La prima ci viene dal protagonista Giovanni Antonio di Faie, speziale in Lunigiana, che ci ha lasciato una Cronaca dal febbraio 1448 fino alla morte nel '70, di cui - chiudendola - ci dà notizia il figlio Raffaello. Il protagonista, nato poco dopo la morte del padre, restò orfano di madre a 10 anni. Si costruì un'esistenza onorata e la sua interpretazione è che l'individuo sia «creatore» di storia. Nella sua personale ricorre il violento Giorgio Malaspina che lo bandisce dal feudo dopo avergli rotto gli «alberelli» (i vasi di ceramica da farmacista) ed avergli spezzato il bancone della bottega, che lo getterà in carcere per diventargli di nuovo amico fino a farlo padrino dei figli.
L'altra interpretazione è che lo speziale sia rappresentante di un «anonimato collettivo» in via di affermazione nella scala sociale. La sua storia non è individuale, ma piuttosto simile ad altri che si fanno strada con la volontà di mangiar pane bianco non solo nelle grandi occasioni. Allora il grano, importato, era un bene prezioso sostituito nella quotidianità dall'amaro panico, da più umili cereali e dalle castagne.
Nel libro compare una folla di migranti: i cattivi, persone molto invidiose del suo successo, i buoni, pochi veri amici, le donne, forti come la madre, con il cui nome, Guglielmina onorerà ben due figlie, in quanto la prima morirà presto.
Un'epoca dura, quella di Giovanni Antonio, di transizioni politiche, guerre e capovolgimenti per pestilenze. Della famiglia originaria con terre e molini, quindi benestante, la peste del 1348 se ne porterà via 21 su 25, lasciando in vita il suo bisnonno che ad appena 16 anni se la dovrà sfangare da solo nell'alta valle del Bagnone. In questa nuova società l'Airaldi ci spiega la «virtus» del mercante, cioè come lo speziale protagonista e come lui altri giovani del tempo siano in continuità con il cavaliere medievale. Per dirla in breve ad Orlando delle Chansons de geste, cantato dai trovatori che allietavano la corte dei Malaspina dello Spino fiorito (padroni di quest'area territoriale), si sovrappose il mercante avventuroso, capace d'intraprendere e di rinnovarsi, descritto nel Milione di Marco Polo. Per il lettore è la gioiosa sorpresa di una storia non più arida ma spiegata nelle motivazioni ideali.
Tra gli scenari uno riguarda i possedimenti delle grandi famiglie: in Lunigiana i Malaspina, ma anche i Da Noceto, e nell'immediato circondario che includeva sia Firenze come Genova, conquistatori e altri grandi come i Fieschi.
Un altro scenario riguarda l'ambiente, descritto nelle sue rocche, come «Malnido» del genovese Giano Fregoso, della cui famiglia nel 1421 il doge Tommaso ottenne, in cambio della cessione di Genova a Filippo Maria Visconti, le terre da Sarzana fino a Pietra Colice e nel 1480 l'arcivescovo-doge Paolo fu a capo della flotta contro i Turchi ad Otranto. Un ambiente descritto nei fiumi che nel 1452 raggiunsero piene mai viste, nei nuovi ponti come quello costruito sul Magra alla foce del Bagnone, subito «un po' smosso» da un diluvio settembrino. Descritto nelle vie percorse dai pellegrini verso Roma ed infestate dai «Pelacriste», i briganti.
Tanti i personaggi comprimari tanto più che lo speziale dal 1451 ci dà il «profilo socio-demografico» di Bagnone, dove vive e in cui abitavano 38 famiglie. Ci indica protagonisti di una vita lunga: zia Franceschina morta a 112 anni, il marchese di Villafranca che novantenne andava «in zazara con li capelli bianchi come neva». Ci ricorda in quell'anno anche la morte di Gianluigi Fieschi nella sua Torriglia, nel 1466 la scomparsa di Francesco Sforza, duce di Milano e dal '64 signore di Genova, il «più saggio uomo d'Italia».
Se uno scenario affascinante riguarda grandi famiglie, Genova, i Papi del tempo, non meno interessante lo scenario ambientale con le pazzie del clima, registrate perché influenti sui raccolti. Nel '42 Arno e Po ghiacciano, nel '59 non ci fu inverno e a Natale si coglievano susine.
Su tutte le figure si staglia Giovanni Antonio che giovanissimo apprendista passava le notti a compitare, sforzandosi di non cedere alla stanchezza perché «saper scrivere apre tutte le porte». E lo sterile alibi del «nascere dall'altra parte» che impedisce gli studi non ha a che vedere, allora come adesso, con la voglia di elevarsi. È un pensiero per chi perde tempo nei cortei studenteschi.
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