«Spinte a terra, picchiate e spogliate Così hanno stuprato me e mia figlia»

Il racconto choc dopo la violenza a Capodanno: «Erano una cinquantina di extracomunitari, nessuno ci ha aiutate»

«Sentivo mia figlia urlare “mamma aiutami”, cercavo di tenerle la mano mentre sentivo le loro mani sul mio corpo. Poi me l’hanno strappata, così come facevano con i miei vestiti. Per un attimo ho pensato, è finita...». Nemmeno due settimane dopo, il ricordo è ancora doloroso. Madre e figlia, vittime di una violenza di gruppo la notte di capodanno, in balia di un gruppo di extracomunitari. Nel caos dei festeggiamenti al Castello Sforzesco, davanti al quale si erano raccolti migliaia di milanesi per salutare il nuovo anno. Questo è il loro incubo.
Lo racconta Francesca, la madre. Quarantotto anni, originaria della Sardegna da dove era arrivata in cerca di lavoro. «Pensavo di cominciare una vita nuova in una città grande, moderna, soprattutto sicura. Ed invece ho conosciuto l’inferno». Parla sottovoce, Francesca, e quasi piange mentre la figlia Claudia, che ha 21 anni, dorme ancora. Tra poco dovrà accompagnarla all’ospedale Mangiagalli, lo stesso dove le hanno ricoverate il giorno dopo l’aggressione, per una visita ginecologica. «Hanno cercato in tutti i modi di stuprarla, ha graffi su tutto il corpo, anche nelle parti intime. Ma le ferite più laceranti sono quelle che ci hanno lasciato dentro».
Il ricordo è doloroso, ma Francesca non si sottrae alla memoria. E ricostruisce quel Capodanno maledetto: «Insieme a Claudia e all’altra mia figlia Marisa, che ha 25 anni, e al marito avevamo deciso di andare al Castello Sforzesco per assistere ai fuochi d’artificio. Ci siamo avvicinati al palco per sentire la musica, ma siamo stati importunati da un giovane extracomunitario che faceva il galletto con Claudia. Per questo abbiamo preferito allontanarci. All’improvviso siamo state circondate, erano tantissimi, almeno una cinquantina. Ci hanno gettato per terra e hanno cominciato a spogliarci, incuranti delle nostre grida».
Solo a quel punto l’altra figlia e il genero di Francesca, rimasti indietro, capiscono cosa sta accadendo e cercano di aiutarle, ma vengono respinti dal muro umano che si è formato attorno alle due donne. «Ormai ci avevano sopraffatte» ricorda. E poi, «hanno detto che siamo state salvate grazie all’intervento di alcuni passanti e della polizia. È falso. È stato uno di loro che a un certo punto ha detto ai suoi compagni di fermarsi. E quando ha visto che continuavano ci ha scaraventato dietro uno steccato gridando di scappare».
Madre e figlia, seminude e con i vestiti a brandelli, riescono finalmente a raggiungere insieme con gli altri due congiunti alcune pattuglie della polizia in servizio nella zona. «Gli agenti ci hanno chiesto cosa era accaduto, ma non sembravano particolarmente turbati. Siamo rimasti fermi dentro le loro camionette, attendendo per un’ora e mezzo l’arrivo di un’ambulanza». Francesca, che lavora come precaria in un negozio di gastronomia, non cerca vendetta ma giustizia: «Una mia collega mi ha aiutato a trovare una penalista che adesso mi sta assistendo. Anche un funzionario della Questura ha deciso di aiutarmi, mi telefona ogni giorno per sapere se abbiamo bisogno di qualcosa. Ma io voglio soltanto che arrestino quegli animali. Mi hanno detto che sono sulle loro tracce.

Non sono razzista, non vorrei diventarlo: anche chi ci ha salvato è un extracomunitario. Ma occorrono più controlli, più sicurezza. Ce l’ho con questa città che speravo mi accogliesse e che adesso mi sembra invece lontana e indifferente».

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