Stop ai fondi per i «reduci» del 1860

Non sappiamo come potrebbero prenderla (nell’auspicabile quanto impraticabile ipotesi che qualcuno dei Mille sia ancora in vita) i veterani e reduci garibaldini. Ammettendo il miracolo anagrafico, gli girerebbero molto probabilmente - e molto furiosamente - gli zebedei. Perché l’associazione dedicata alla loro memoria, apparentemente vitale, con tanto di sito web e 29 sezioni sparse su tutto il territorio nazionale, da Borgosesia (Vercelli) a Palermo, rientra ufficialmente da ieri nell’elenco di 232 istituti ed enti culturali italiani destinati a finire sotto la scure della manovra finanziaria. La contabilità, del resto, è scienza arida e non guarda in faccia a nessuno, nemmeno alla vigilia del centocinquantenario dell’Unità d’Italia.
I fondi statali fin qui goduti dagli enti finiti nell’elenco cesseranno nel momento in cui il decreto «recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» (si potrebbe magari cominciare già da qui, sforbiciando qualche parola di troppo) diventerà legge. All’articolo 7, comma 22, c’è infatti già scritto sia il destino dell’Associazione reduci garibaldini, sia quello degli altri 231 sodalizi di vario genere. Perché da quel momento - si legge - lo Stato cesserà «di concorrere al finanziamento degli enti, istituti, fondazioni e altri organismi» compresi nella suddetta lista.
Va sottolineato, come doverosa premessa, che la falce governativa non sembra aver guardato in faccia a nessuno. È stata trasversale e bipartisan. Enti e associazioni di destra e di sinistra; del Nord (Centro camuno di studi preistorici) e del Sud (Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia); dediti all’arte o alla scienza, alla musica o alla letteratura, sono finiti nella lista dei 232 decapitandi. Senza indulgenza alcuna. Ma anche, ci sia consentito, con una miopia in certi casi evitabile.
Un po’ di rispetto, per esempio, se non altro alla figura di cui porta il nome, avrebbe potuto meritarlo proprio la prima della lista, la Fondazione Alcide de Gasperi. Mentre è magari più legittimo pensare che non saranno in tanti a versare lacrime sulla spalla del Comitato nazionale per le celebrazioni del bimillenario della nascita di Vespasiano. Lui, l’imperatore, uomo di mondo, non se ne avrà. Quanto a quelle casupole stradali che avevano preso il suo nome per via di una tassa da lui voluta sullo sfruttamento delle urine da parte dei tintori... e chi le ha viste più. La società moderna non è evidentemente quella del bisogno.
Non sappiamo poi con certezza - ma è soltanto una mancanza di chi scrive - quale peso specifico possano avere nei loro rispettivi campi d’azione l’Ente geopantologico di Pietraroia, così come il Centro di iniziativa e ricerca sul sistema (la cui mission ci suona un po’ generica). Ignoriamo inoltre del tutto di che cosa si siano occupate fino a ieri l’Associazione nazionale Nastro Verde, così come l’Accademia degli Incamminati. E se non ci sembra davvero il caso di strapparci le vesti per la fine dei fondi devoluti al Comitato nazionale un secolo di fumetto italiano, avanziamo sottovoce il sospetto che forse l’Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare ordine di Malta non si trovi proprio in condizioni tali da dover ricevere anche gli aiuti finanziari dello Stato.
Ci piange invece e per davvero il cuore al pensiero - e crediamo di interpretare quello di tutti i veri liberali - che senza fondi debbano incomprensibilmente finire le fondazioni e associazioni culturali dedicate alla memoria di un Luigi Einaudi e di un Piero Gobetti, dei fratelli Rosselli e di Piero Calamandrei. Così come non si può che restare stupiti di fronte alla lettura, in elenco, dei nomi di due fondazioni come quelle dell’Arena di Verona e del Poldi Pezzoli di Milano.

Ovvero un teatro e un museo che il mondo ci invidia. Per cortesia, ripensateci. Se poi, per il loro eventuale recupero, dovesse rimanere definitivamente a secco proprio l’associazione Fondo Alberto Moravia... Vabbé, ce ne faremo una ragione.

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