Il volo dell'asso Visconti: da Decimonannu all'Italia per combattere fino alla fine

Dalla Sardegna all'ultima resistenza con l'Aeronautica repubblichina, Adriano Visconti è stato comandante e artefice dell'improbabile viaggio che ha permesso a lui e ai suoi di continuare a volare e combattere

Il volo dell'asso Visconti: da Decimonannu all'Italia per combattere fino alla fine

È il caso di dirlo, quella compiuta da un manipolo di uomini della Regia Aeronautica all’indomani dell’Armistizio, la “fuga” da Decimomannu in Sardegna per fare ritorno sul continente, fu un’impresa unica nel suo genere. Protagonista eccezionale di questa storia, l’asso da caccia italiano Adriano Visconti che, insieme ad altri due piloti da combattimento, il sottotenente Giovanni Sajeva, il sergente Domenico Laiolo, decise di non lasciare indietro "nessuno".

Solo tre aerei da caccia

I tre velivoli in questione, tre caccia monoposto Macchi C.205 Veltro modificati per condurre missioni di osservazione fotografica, erano evoluzione del Macchi C.202 Folgore, di cui conservavano inalterata gran parte della cellula e degli equipaggiamenti, ma dotati di un più potente motore Daimler-Benz. Il Veltro era entrato in servizio nell'aprile del 1943, e fu il primo caccia italiano a portare la Regia Aeronautica nella condizione di confrontarsi “alla pari” con la caccia avversaria, seppure le condizioni di schiacciante inferiorità numerica avevano già iniziato a segnare chiaramente le sorti del conflitto.

Ultima missione della squadra di caccia-osservatori comandata da Visconti, era data 7 settembre e aveva l’obiettivo monitorare lo svolgersi delle operazioni alleate tra la Tunisia e la Sicilia. L’Armistizio con gli Alleati ratificato in gran segreto a Cassibile il 3 di settembre, ma comunicato ufficialmente soltanto l’8, aveva gettato il caos nella linea gerarchica, e in completa assenza di ordini precisi dal ministero dell’Aeronautica di Roma e dai suoi diretti superiori, Visconti si decise che l’unica cosa che poteva e doveva fare, era quella di riportare alla base gli aerei e gli uomini che erano stati posti sotto il suo comando, e dei quali era in ogni caso responsabile.

Il capitano Visconti, che appena pochi mesi prima si era alzato in volo dalle coste dell’Africa, guadagnando insieme al pilota e amico Egeo Fioroni la possibilità continuare a combattere, volando basso sul mare per eludere la caccia nemica, con il compagno d'armi stipato nell'abitacolo e le lettere di chi non potè tornare in patria ed era invece pronto da scontare la prigionia. Penserà al modo per portare con se i suoi specialisti.

Nella notte tutto ciò che poteva essere tolto dai tre Veltro per guadagnare spazio e peso viene rimosso: i seggiolini, le piastre corazzate protettive, le munizioni e anche le delicata e preziose macchine fotografiche Zeiss Rb. 50×30 con focale di 500mm che pesano 80 almeno. Dei 12 uomini della Regia che si trovano a Decimoannu, 11 si imbarcano sui tre caccia. Il pilota siede direttamente su un secondo che gli fa da "seduta" nell'abitacolo. Altri due sono accucciati fusoliera svuotata. A terra resterà solo il maresciallo Magnaghi, per custodire l'apparecchiatura fotografica. Così, all'indomani, alle prime luci dell'alba, Visconti si trova per la seconda vola a voltare basso, e questa volta non con uno, ma con 3 passeggeri eccezionali.

Un volo temerario verso il continente diviso dall'8 settembre

La squadriglia di fuggiaschi approntata da Visconti muove in formazione libera a quota e velocità ridotta. Segue una rotta che prevede più terra che mare, in caso sia necessario un atterraggio di fortuna. Da Dacimomannu, estremo sud della Sardegna, i tre caccia sorvolano l’intera Ichnusa, attraversano le Bocche di Bonifacio, raggiunga la Corsica puntano su Bastia. Da lì affrontano il Mar Tirreno, e volta raggiunto il continente, dopo aver sorvolato l'Elba e Grosseto, correggono verso sud, fino al porto di Civitavecchia, per approcciare infine la pista della base di Guidonia. Dove era stata istituita, proprio nell’estate del ’43, la 310ª Squadriglia Aerofotografica Caccia posta sotto il comando di Visconti.

L'atterraggio sarà tutto fuorché facile. Gli aerei rischiano di andare fuori pista due volte, lo stesso Visconti, che deve tentare due atterraggi, si fermerà in un hangar che per sua fortuna era vuoto, nello sgomento dei presenti che con immensa sorpresa vedo fuori uscire dalla fusoliera i commilitoni che non erano proprio attesi.

Un pilota da caccia, fino alla fine

Il resto della storia è nota ai più. Come sappiamo l'asso italiano accolse il “Bando Botto” entrando a far parte dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana che rimase fedele al Duce e avversaria degli Alleati fino al 1945. Con il grado di maggiore, Visconti otterrà il comando del 1° Gruppo Caccia “Asso di Bastoni”, pattugliando i cieli del nord d'Italia e ingaggiando, seppure in esigua schiera, le formazioni di bombardieri anglo-americani inviate a distruggere ciò che restava dell'industria bellica italiana e del morale della popolazione civile. Tra le 10 vittorie che gli vennero accreditate, c’è chi sostiene fossero più del doppio, troveranno posto anche tre temibili cacciabombardieri pesanti a doppia deriva P-38 Lightning della Forze aerea americana.

Imbattuto nei cieli, Adriano Visconti venne

trovato dalla morte il 29 aprile 1945, quando recatosi presso la caserma del Savoia Cavalleria a Milano, invece di trattare la resa con gli avversari compatrioti, fu assassinato dai partigiani. Aveva 29 anni.

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