Storia d'assalto

La rete "Prosper", la cattura e l'esecuzione: la vera storia della spia principessa

Figlia di un sultano indiano chiamato alla corte dello zar niente meno che dal misterioso Rasputin, la principessa Noor Inayat Khan è considerata una delle più coraggiose donne spia della storia

La rete "Prosper", la cattura e l'esecuzione: la vera storia della spia principessa

Martoriata dalle percosse, vestita degli stracci consunti assegnati ai detenuti dei campi di concentramento, nel guardarla negli anche occhi scuri e svuotati dalla vita, nessuno avrebbe immaginato d'essere al cospetto di una delicata e bellissima principessa orientale: Noor Inayat Khann, conosciuta in Francia come Madeleine, giace sul pavimento di una sala per gli interrogatori del Konzentrationslager di Dachau. Pochi istanti prima un ufficiale delle Ss le aveva intimato l'ordine di mettersi in ginocchio, quale elemento "estremamente pericoloso". O almeno questo riportata il dossier che l'aveva accompagnata al momento dell'internamento. Dunque, per evitare di perdere tempo, una donna tanto esile e delicata, torturata e già provata dalla prigionia non poteva essere utile alla forza di lavoro del Reich, e scongiurare ogni rischio, aveva estratto la pistola, e le aveva puntato la canna di Luger alla nuca.

Lei, fiera e in pace con la sua scelta, pare abbia gridando forte: "Libertè!". Poi è partito il colpo. E si è compiuta per l'ennesima volta la macabra e straziante routine a Dachau, il primo attivato dai nazisti per la "soluzione finale", proseguiva da anni: il corpo del forno crematorio insieme agli altri, le ceneri, sparse dal vento, dopo essere corse su per il camino.

Ma per quale motivo Noor Inayat Khan, la figlia dell’ultimo sovrano musulmano del sud dell’India, nata a Mosca nel gennaio 1914 mentre il padre era ospite di Rasputin alla corte della Zar, da devota seguace della dottrina sufista - basata sulla pace universale, la tolleranza religiosa e l’amore di tutti gli esseri viventi - era stata eliminata con quell'istantanea brutalità? Perché era una spia britannica. Forse non la più nota, ma sicuramente la più devota a una causa che poteva anche non riguardarla: liberare l'Europa sotto il giogo di Hitler.

Una spia senza "licenza di uccidere"

Annoverata tra le spie donne più audaci e misteriose della sezione francese del Comitato per le Operazioni Speciali, il Soe voluto da Churchill "per mettere a ferro e fuoco" l’Europa occupata, e gestita formalmente dai servizi segreti britannici, Noor Inayat Khan, per gli inglesi Nora Baker, era destinata a entrare in contatto con la resistenza a Parigi al fine di condurre missioni di elevato rischio pur sapendo che la sua religione - qualunque cosa accadesse - le "vietava l’uso delle armi e il ricorso alla violenza". In caso di pericolo, quindi, non si sarebbe in nessun modo difesa per sfuggire ai suoi aggressori, fossero essi della Gestapo, delle Ss, o dei normali soldati inviati a fare piazza pulita dei maquisard. I partigiani francesi.

Cresciuta tra Regno Unito e Francia, dove la sua famiglia si era trasferita per via delle “tensioni” che si erano via via acuite tra i movimenti indipendentisti indiani e la Corona inglese, Noor era il classico tipo di giovane donna poliglotta adattissima ai compiti più delicati che iniziavano ad essere richiesti dallo sforzo bellico nel campo dello spionaggio. Laureata alla Sorbona e arruolatasi nelle forze ausiliarie della Royal Air Force dopo l’occupazione della Francia, si era specializzata in radiotelegrafia, ragione per la quale venne adocchiata dai reclutatori dei servizi segreti che le proposero di entrate nel Soe.

Superate tutte le prove di selezione, i corsi di formazione e il duro addestramento che veniva riservato agli agenti nei remoti campi della Scozia, uomini e donne che saranno destinati alle operazioni dietro le linee, nel giugno 1943 viene portata in Francia su uno dei mitici Lysander, i traghettatore delle spie, per diventare parte importante una missione delicata quanto pericolosa: ricevere e trasmettere informazioni riservate attraverso una radio clandestina, radio Aurore, e fissare una linea di collegamento tra la Resistenza e il comando alleato che si preparava a lanciare una serie di operazioni di sbarco per liberare l’Europa.

Quando nelle fasi preliminari del reclutamento venne interrogata per testare il suo livello di affidabilità e fedeltà alla causa, data la sua “particolare” condizione e la complessità della sua storia fatti di spostamenti repentini, palazzi, uomini di religione e di potere occulto, le sue ragioni si concentravano sempre sul punto che “ogni altro punto era secondario” rispetto al combattere e sconfiggere il nazismo.

Nome in codice Madeleine

Sotto il nome di Madeleine, Noor Inayat Khan diventa un elemento essenziale della rete d’informazione clandestina denominata “Prosper”, ma l’essere “essenziale” non basterà a non renderla vittima , come ricorda Domenico Vecchioni sul sito dei nostri servizi, di un “sofisticatissimo triplo gioco condotto dall’MI6 e dallo stesso SOE” che attraverso l’inganno dell’Abwher (il servizio segreto tedesco, ndr) mirava a imbeccare “false informazioni” ai tedeschi attraverso agenti operativi “veri” e "credibili" per sviare l'intelligence di Berlino sui quale sarebbe stato il reale settore di sbarco scelto dagli alleati: la Normandia.

Questo subdolo gioco al massacro di agenti segreti e partigiani brucerà la copertura dell’intera rete, causando la perdita di diversi agenti francesi e inglesi. E vedrà finire Madeleine, la principessa spia, nelle mani della polizia segreta tedesca. Tradotta al quartier generale della Gestapo al numero 84 di Avenue Foch a Parigi, la principessa verrà sottoposta fin dall'inizio della sua prigionia a una dura e snervante sessione di interrogatori accompagnati da percosse e privazioni. Nessuno dei suoi tentativi di fuga avrà successo. Ma non avranno successo neanche i tentativi dei tedeschi di estorcerle informazione, nomi, luoghi, segreti, o nulla che potesse essere loro utile. Neanche in cambio della ricompensa che le offrivano: lasciarla in vita se avesse collaborato.

Sacrificio e libertà

Per i tedeschi non c’è mai stato alcun dubbio per quanto riguardava Noor Inayat Khan: si trattava di una prigioniera particolarmente pericolosa, inutile da tenere in vita in mancanza di una collaborazione. Così la principessa spia, agente britannica un tempo collegamento essenziale tra i partigiani francesi e Londra, viene trasferita prima in Germania presso la prigione di Kalsruhe, poi a Dachau dove verrà giustiziata con quel colpo di pistola sparato a bruciapelo sulla nuca, il 13 settembre del 1944.

Madame de Gaulle Anthonioz, nipote del generale Charles De Gaulle che allora era capo delle forze armate della Francia Libera, la ricordò dicendo: “Niente, né la sua nazionalità, né la tradizione della sua famiglia, niente di tutto ciò la obbligava a prendere posizione nella guerra. Comunque l'ha scelto. È la nostra lotta che ha scelto, che ha portato avanti con un coraggio ammirevole e invincibile”.

A distanza di quasi ottanta anni, la scelta di pronunciare una semplice parola nell'instante della sua morte, ci ricorda come il sacrificio non sia mai vano, se ancora ricordiamo chi ha sacrificato la propria vita per dare un senso a quella semplice parola: libertà.

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