Controcultura

Strindberg al capezzale dell'"io" morente

August Strindberg (Stoccolma, 22 gennaio 1849 - Stoccolma, 14 maggio 1912). Nella sua trilogia autobiografica, "La festa del coronamento" segue "Solo" e precede "Il capro espiatorio".

In una delle sue ultime pièce del genere «dramma da camera» datata 1909, Il guanto nero, August Strindberg mette in scena una sorta di nebulosa e onirica novella natalizia in cui prima si perdono e poi vengono ritrovati un guanto nero, un anello e persino una bambina. Fra i personaggi principali c'è un conservatore di museo. Come nel racconto del 1898 La palude d'argento. E come nel romanzo La lampada verde, del 1906. Uscita in italiano nell'83 da Sugarco, l'opera è ora pubblicata da Carbonio Editore con il titolo La festa del coronamento (traduzione e introduzione di Franco Perrelli).

I conservatori di museo coltivano la memoria, anzi vivono di memoria. Ma questo, gravemente malato, di memoria muore, affogando in un monologante delirio in cui il dolore fisico e la morfina somministratagli da un medico fanno esplodere in mille schegge i ricordi. Ricordi palesemente autobiografici dell'autore, come in Solo e in Il capro espiatorio che compongono una trilogia. Emergono infatti abbondanti dettagli sul matrimonio con Harriet Bosse, sul divorzio dell'amico Vilhelm Carlheim-Gyllensköld e sugli ultimi giorni di vita di suo cognato Hugo von Philp.

Nell'anonimo agonizzante, i cui guai iniziarono quando un cavallo, imbizzarrito per colpa di due cani, gli calpestò una gamba, «il ricordo si riproduce attraverso un grafofono», cioè un registratore, come scrisse in un appunto Strindberg. Dunque, alla memoria materiale degli oggetti museificati che erano il suo lavoro, si aggiunge la memoria fatta di parole, di un testo. Ma il personaggio-sé stesso di Strindberg, diversamente dal Krapp di Beckett alle prese con l'ultimo nastro, non si commisera, non si dà del «povero cretino», non si dissolve nella desolazione. Al contrario, nonostante le sofferenze resta aggrappato alla vita, e la lascia addirittura in serenità. «Il morente sorrise, non comprendeva la situazione, vedeva solo verde, fiori e bandiere, e prese per sé quegli evviva. Buonanotte, croce rossa, ora dormirò! furono le sue ultime parole. Si stirò, sospirò a lungo un paio di volte e, apparentemente, s'addormentò, ma mori. E giacque così, sorridente come se vedesse solo cose belle, prati verdi, bambini e fiori, acqua azzurra e bandiere nel sole lucente». A esultare, sono stati gli operai che hanno terminato la casa di fronte a quella del Nostro, la casa che, crescendo giorno dopo giorno, gli nasconde la vista, riflessa nella finestra, dell'abitazione del suo antico nemico, e spegne la lampada verde che tormentava il conservatore come un monito colpevolizzante.

Prima... «La luce verde aveva il colore della speranza, della speranza della vendetta, e ritenevo che da quella dimora s'irradiasse ogni male. Traslocare non potevo, desideravo solo una fioritura degli alberi del giardino, che coprisse la sua finestra, oppure che la sua casa fosse abbattuta, ma quella stava là, e il suo occhio verde rimaneva puntato fisso su di me e il mio destino». Poi... «Con la disintegrazione dell'io seguì anche la scomparsa dell'egoismo, e cominciò a fluire, afferrandosi a quel che gli era più vicino, all'infermiera e al dottore, s'interessava a loro, alla loro salute, e con veri movimenti ameboidi dell'anima cacciò fuori nuovi apparenti piedini, s'aggrappò ai loro pensieri e sentimenti come per tenersi sulla terraferma».

Una morte quasi socratica, sapendo di non sapere.

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