Suicidio, prima causa di morte tra i giovani (ma nessuno ne parla)

Caro direttore,
ho letto di quel bambino, suicida a 9 anni, forse per colpa di una nota. Non intendo parlare di questo caso perché non ho elementi per farlo, ma mi ricollego invece - in generale - ai suicidi giovanili mentre una ridda di insoluti “perché?” riaffiorano. Persone di varia estrazione sociale, di età che varia da quella adolescenziale a quella della maturità, deluse, disperate, impreparate ad affrontare la vita con i suoi tratti impervi con le immancabili difficoltà. Chi deve prepararli a tutto questo? Un po’ tutti, famiglia e scuola, ma preferisco puntare il faro sulla famiglia che deve cominciare prestissimo ad indirizzare i comportamenti. Ottenere tutto subito, senza nemmeno il tempo di desiderare, non lascia traccia nell’intimo e guasta la formazione. Inculcare pochi sani principi e cioè ricordare instancabilmente che il premio arriva dopo il merito, che nella vita niente è facile, che le conquiste appagano di per sé, che non esistono traguardi facili, che bisogna saper aspettare. In concreto addestrarli a vivere. Ad affrontare la vita. Questo non è il rimedio e nemmeno il deterrente, ma è un primo passo doveroso che spetta obbligatoriamente ai genitori. Dire “no” costa, ma certamente premia. I nostri figli devono saper affrontare i marosi. Devono saper camminare su terreni accidentati. Possono cadere, ma devono essere addestrati a rialzarsi. Formarli forti e pronti a camminare nelle strade del mondo sarà la nostra gratificazione. Credo fermamente in questo.
Brescia

Ha colpito molto anche me la storia di Andrea, il bimbo che viveva alle porte di Milano e che è stato trovato morto, impiccato nella sua cameretta. Non è ancora sicuro che si tratti di suicidio, perché lui era davvero molto piccolo e a detta dei genitori non era particolarmente scosso da quel rimprovero a scuola. Si è anche ipotizzato un gioco, finito in modo tragico. Comunque è vero quello che dice lei, cara Renata: al di là di questo caso, il tema dei giovani che si tolgono la vita è importante. Spesso non se ne parla, per una forma di pudore, per un giusto rispetto, per evitare effetti emulativi. Ma a volte mi chiedo se sia giusto. Perché tutto ciò di cui non si parla, oggi, è come se non esistesse: dunque nessuno se ne preoccupa, nessuno prende provvedimenti. La disgrazia colpisce a caso, nel mucchio. E quando una famiglia viene colpita resta sola, abbandonata fra i sensi di colpa, senza punti di riferimento, senza strumenti per capire. Forse pochi sanno (non lo sapevo nemmeno io fino a quando sono andato a documentarmi per rispondere alla sua lettera) che il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani. Più degli incidenti stradali, più dei tumori, più della droga. L’8 per cento di tutti i decessi nell’età fra i 10 e i 24 anni è determinato dalla scelta consapevole di togliersi la vita. Sempre nella fascia 10-24 si registrano 5 casi di suicidio ogni 100mila abitanti. E la percentuale è cresciuta del 13 per cento negli ultimi vent’anni. Pochi mesi fa a Milano è stata presentata una ricerca condotta su oltre duemila ragazzi: i dati sono impressionanti. Uno su sette ammette di avere pensato almeno una volta al suicidio, uno su dieci confessa di aver provato a farsi intenzionalmente del male.

Di fronte a questi dati, cara Renata, tutto quello che si può dire rischia di essere banale. Mi faccio solo una domanda: visto che, parlandone poco, i suicidi fra i giovani sono aumentati del 13 per cento in vent’anni, non sarà il caso, d’ora in avanti, di cominciare a parlarne un po’ di più?

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