Sul piatto ci sono contratti per 50 miliardi di dollari

L’Italia mette sul piatto cinque miliardi di dollari in vent’anni. La Libia cinquanta da investire in appena 24 mesi. È il regalo che Gheddafi si è accordato in occasione del quarantesimo anniversario della sua ascesa al potere. Il colonnello-beduino ha deciso di regalarsi un piano industriale faraonico. E questo spiega perchè diversi amministratori delegati delle grandi aziende italiane abbiano chiesto udienza nella tenda di Villa Doria Pamphilij. In gioco ci sono contratti ricchissimi e quanto mai provvidenziali di questi tempi. Tripoli, da quando è stata riammessa nella comunità internazionale, viene considerata un ottimo committente. E’ uno dei pochi Stati ad avere i forzieri straboccanti, grazie a riserve valutarie stimate a 136 miliardi di dollari. E più il prezzo del petrolio sale, più Gheddafi è invogliato ad investire.
A vantaggio di chi? Non è difficile immaginarlo. L’Eni, a cui verrà garantito il prolungamento dei contratti di estrazione per il petrolio fino al 2042 e per il gas fino al 2047. L’industria della costruzione, a cominciare dall’Impregilo che un anno fa aveva firmato un contratto da 400 milioni di euro e che ora appare ben posizionata per ottenere altre e assai più ricche commesse. Finmeccanica a cui potrebbe essere affidata la creazione di una parte della rete ferroviaria e che potrebbe strappare importanti forniture militari.
L’intesa economica tra Roma e Tripoli, è alimentata da necessità reciproche, ma anche da interessi incrociati sempre più stretti. Tripoli intende approfittare del recente calo di Borsa per ampliare la propria partecipazione azionaria all’estero in un’ottica di lungo. Oggi il colonnello possiede l’1% del capitale Eni, ma è intenzionato ad aumentare gradualmente al 5, poi all’8% e infine al 10%. E Palazzo Chigi ha già fatto sapere di non essere contraria.
La Banca centrale libica possiede già il 4,6% di Unicredit e segue con molto interesse l’aumento di capitale dell’Enel. In settembre voleva comprare il 10% di Telecom, che ora viene considerata tra le grandi favorite per le commesse nel campo della telefonia.
Il finanziere Tarak ben Ammar ha affermato recentemente che «la Libia darà priorità all’Italia per il 90% dei suoi investimenti all’estero», che avvengono tramite il fondo sovrano Libyan Investment Authority, lo stesso che ha appena firmato un accordo congiunto con Mediobanca per la creazione di un fondo da 500 milioni di dollari da investire nelle aziende industriali italiane maggiormente colpite dalla crisi. E chi siede nell’advisory board della Libian investment Authority? Il numero uno della Pirelli, Marco Tronchetti Provera.
Il giro è chiaro: l’Italia acquista ogni anno gas e petrolio libici per 17 miliardi di dollari, Gheddafi ha bisogno di diversificare gli investimenti finanziari e compra quote di società italiane, ma vuole modernizzare il Paese e si affida, prioritariamente, alle nostre aziende, tra cui anche quelle di cui è azionista. L’abbraccio coinvolge le assicurazioni (con le Generali), il calcio (Tripoli potrebbe acquistare il 40% della Roma) ed è reso allettante da clausole fiscali e operative molto vantaggiose.

Il Trattato di amicizia italo libico firmato da Gheddafi e Berlusconi prevede che Tripoli fornisca i terreni necessari per i lavori senza costi, nonchè materiale di costruzione a prezzi molto agevolati e forniture energetiche esentasse. Tappeto rosso, nel deserto.

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